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Fca-Psa, chi ci guadagnerebbe con le nozze studiate da Marchionne

di Laura Galvagni e Marigia Mangano

Piano investimenti Fca in Italia andra' avanti

3' di lettura

Diversi anni fa, mentre Sergio Marchionne tentava l’affondo poi fallito a General Motors e presentava al mondo il suo personale manifesto per un consolidamento del settore auto, sul tavolo del manager c’era un altro dossier gradito a tanti. Era il progetto di creare un asse con Psa. Un piano rispetto al quale il ceo della compagnia francese, Carlos Tavares, aveva già dato un suo primo parziale assenso. Il ceo era talmente convinto della bontà e delle potenzialità di un accordo tra le due case automobilistiche da voler addirittura favorire le nozze facendosi da parte: «Posso essere il numero due di Marchionne», aveva confidato all’epoca ai suoi più stretti collaboratori, tentando così di sgomberare il campo da ogni possibile tema di governance. Chrysler era stata assorbita, l’idea Gm stava sfumando e il progetto di un matrimonio tra Fca e Peugeot sembrava invece poter davvero prendere forma.

Secondo le testimonianze raccolte tra chi quelle fasi le ha vissute da vicino, si narra che il piano avesse raggiunto un tale livello di approfondimento che lo stesso Marchionne si era recato in almeno un paio di occasioni dall’allora ministro delle Finanze e oggi presidente della Repubblica, Emmanuel Macron. Incontri cordiali dove il tema fu messo sul piatto. La strada si rivelò però ben presto in salita. Al tempo furono due gli elementi a giocare a sfavore: le resistenze della famiglia Peugeot e alcune perplessità dell’allora ceo di Fca. Marchionne temeva che l’alleanza, per certi aspetti altamente sinergica, si potesse trasformare in una semplice operazione di cost cutting.

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Nessuno in Europa si era ancora esercitato su un piano di radicale ristrutturazione, prima di farlo però era indispensabile capire quanto fosse praticabile e soprattutto funzionale ai nuovi scenari emergenti. Sulla carta, infatti, le nozze tra l’ex Lingotto e il colosso francese possono generare una realtà fortemente complementare sul piano commerciale. Si verrebbe a creare infatti un’entità leader in Europa, forte in America Latina e Nord America e presente in Cina. Allo stesso modo, però, sul territorio europeo la concentrazione dal punto di vista produttivo potrebbe spingere a una revisione del numero degli impianti. La sola Fiat conta ben sette stabilimenti nel Vecchio Continente.

Così, se il tema industriale resta ancora un aspetto certamente d’attualità a distanza di oltre un lustro, le criticità sollevate all’epoca dalla famiglia francese sembrano oggi essere state superate, come dimostrano le dichiarazioni rilasciate da Robert Peugeot. Del resto il momento gioca a favore del colosso transalpino. Psa capitalizza 20,7 miliardi mentre Fiat circa 20,5 miliardi. La differenza, però, è che il gruppo francese tratta quasi sette volte gli utili mentre quello italo-americano 4,5 volte (4 se si considera il prossimo stacco della cedola). In altre parole è come se la società controllata da Exor viaggiasse a sconto del 40% rispetto al competitor. Sono numeri accettabili? È evidente che a questi prezzi un matrimonio si tradurrebbe in un secco dimezzamento della quota della famiglia Agnelli che comunque risulterebbe avere una partecipazione superiore, seppur di poco, alla dinastia Peugeot e allo stato francese che assieme conterebbero per circa il 12% post fusione.

Tutti aspetti che naturalmente sono suscettibili di aggiustamenti e sui quali, secondo indiscrezioni, i consulenti sarebbero al lavoro. Non a caso, si racconta che recentemente John Elkann, numero uno di Fca e soprattutto alla guida di Exor, si sia recato spesso in Francia. Lo stesso Elkann diversi anni fa aveva studiato a lungo il dossier. Dossier che in ogni caso si dovrà misurare anche rispetto ad un’altra variabile, quella culturale. Fca è un gruppo a forte trazione americana mentre Psa, oltre ad essere molto europeo, è soprattutto francocentrico.

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