buenos aires

Inflazione, debito e rilancio: le tre sfide per il nuovo corso dell’Argentina

ll nuovo corso dei peronisti riparte dal braccio di ferro con il Fondo monetario

di Roberto Da Rin

L'Argentina torna peronista: Fernandez presidente, Kirchner vice

3' di lettura

Ripartenza o ricaduta? Il nuovo Esecutivo argentino, entrato in carica il 10 dicembre, adotta i primi provvedimenti e dà un indirizzo chiaro di politica economica: «La mano visibile dello Stato» è uno degli stilemi adottati per comunicare la svolta peronista dopo 4 anni di liberismo. Lotta alla povertà, più sussidi, blocco delle tariffe, aumenti delle tasse per il settore agroindustriale. È questa la ricetta degli eredi di Juan Domingo Perón, che non cambia, né nella forma né nella sostanza. Sono 3 le sfide della coppia presidenziale costituita da Alberto Fernandez e Cristina Fernandez de Kirchner: l’inflazione, le riserve della Banca centrale e il debito con il Fondo monetario internazionale. Un fardello pesante, una sfida epocale.

Inflazione
Il tasso di aumento dei prezzi al consumo ha toccato il 55% e questo è il principale insuccesso del governo dell’ex presidente Mauricio Macri. Secondo vari osservatori è il “ fattore critico di successo” della vittoria peronista, al primo turno nel voto del 27 ottobre scorso. L’inflazione era stata un punto dolente della gestione della presidenta Cristina Fernandez de Kirchner, schizzata al 25%, ma paradossalmente si è trasformato in un vantaggio peronista, data l’incapacità della gestione Macri. Il mancato adeguamento dei salari ha fatto lievitare anche il tasso di povertà, schizzato al 33% e ciò, in un Paese di 45 milioni di abitanti che produce cibo per 400milioni di persone, mostra la più eclatante incapacità del governo liberista di Macri.

Loading...

Dollaro o riserve
La svalutazione del peso, crollato del 70% da inizio 2018, è un altro nodo sul tappeto. La Banca centrale ha annunciato, poche settimane fa, l’introduzione di una misura di controllo valutario: gli argentini possono acquistare solo 200 dollari al mese, a un determinato tasso di cambio. Per chi decide di acquistarne di più, il “prezzo” della valuta estera diviene ben più alto. Misure di controllo dei cambi che hanno determinato, in pochi mesi, un’uscita di 30miliardi di dollari dalle casse della Banca centrale. In altre parole l’equivalente del 40% dei depositi in dollari. Riserve evaporate per sostenere il “peso”, altrimenti in caduta libera.

Il debito e il Fmi
Il Fondo monetario internazionale, a fronte di una crisi drammatica ha elargito un prestito di 57 miliardi di dollari, di cui 11 ancora da versare. Il principale nodo è questo: oggi non è chiaro se i peronisti, al Congresso, siano disposti a votare un pacchetto di austerità concordato con il Fondo dal precedente governo liberista. Il debito pubblico che nel 2015 era pari al 53% del pil, oggi è salito all’81% del pil. Una sfida che ripropone l’incubo di una cessazione dei pagamenti, il famigerato default, già visto. La lunga recessione in corso non aiuta il nuovo corso peronista.

Il ministro dell’economia Martin Guzman ha annunciato il blocco delle tariffe dei servizi pubblici, congelate per sei mesi. Una misura emergenziale, dato l’alto tasso di povertà registrato negli ultimi mesi. Lo ha detto chiaro il presidente Fernandez, che ha proposto progetti di solidarietà che leniscano «i patimenti delle classi meno agiate, costrette negli ultimi anni a ridurre drasticamente i consumi e sprofondare nella povertà». L’economia è in recessione da due anni, impossibile prevedere il trend dei prossimi mesi, i prezzi delle materie prime agricole costituiscono sempre la variabile cruciale, che determina riprese e recessioni. Per ora l’orizzonte non è luminoso: la velocità di crociera è molto bassa e il Pil, nel terzo trimestre 2019, si è contratto dell’1,7% rispetto allo stesso periodo del 2018. Un piccolo segnale positivo arriva a livello trimestrale: nel terzo trimestre del 2019, +0,9% sul trimestre precedente (aprile-giugno). Gli analisti avevano stimato un +0,6%, quindi un risultato migliore delle attese e soprattutto il primo recupero trimestrale dal 2017. Ma non può essere visto come l’inversione di un trend.

Tra le priorità, quella occupazionale è forse la più allarmante. Il governo argentino ha deciso di dichiarare attraverso un decreto “l’emergenza occupazionale” alla luce del fatto che nel secondo trimestre di quest’anno il tasso di disoccupazione abbia raggiunto il 10,6%, con un aumento dell’1% rispetto ad un anno fa. Matias Kulfas, ministro dello Sviluppo produttivo, ha dichiarato che il primo obiettivo sarà quello di «generare occupazione regolare nel settore privato», una sfida titanica per un Paese dove gli occupati nella pubblica amministrazione sono percentualmente più numerosi che in gran parte dei Paesi latinoamericani.

Per approfondire:
Trump annuncia i dazi su acciaio e alluminio di Brasile e Argentina
Argentina: Fernández, non contrarremo più debito estero
Argentina, la banca centrale vara subito la stretta sui cambi

Riproduzione riservata ©
Loading...

Brand connect

Loading...

Newsletter

Notizie e approfondimenti sugli avvenimenti politici, economici e finanziari.

Iscriviti