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Prescrizione: che cos’è e quali sono gli interessi in conflitto

La legge entrata in vigore il 1° gennaio 2020 introduce il blocco della prescrizione dopo la sentenza di primo grado. Perché è una scelta troppo radicale

di Simone Lonati e Carlo Melzi d'Eril

Conte: cittadini ci chiedono efficienza non la prescrizione

4' di lettura

Le maggioranze di ieri e di oggi strattonano la disciplina sulla prescrizione dei reati, lasciando intendere al proprio elettorato che, mettendoci mano, si potranno risolvere alcuni degli endemici guasti del nostro sistema penale. Così non è, ma per spiegare perché dobbiamo fare un passo indietro.

La prescrizione è una causa di estinzione del reato; in altri termini un illecito penale non può più essere punito se trascorre un certo periodo di tempo dalla sua commissione.

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La regola in base alla quale lo Stato rinuncia a punire eventi lontani nel tempo risponde a diverse esigenze: anzitutto l’inopportunità e l’inutilità di sanzionare persone ormai cambiate rispetto a quando hanno commesso l’illecito per di più circa eventi coperti ormai d’oblio. Inoltre, non sembra proprio di un ordinamento civile imporre a una persona di restare “appesa” al filo del giudizio (e dunque del sospetto) per troppo. Infine, prove documentali e testimoniali, a notevole distanza dal fatto, risultano più difficili da trovare e da assumere.

La disciplina in concreto tenta di bilanciare queste esigenze primarie, ma eterogenee: la tutela dell’imputato dalla “pena del processo”, da un lato e, dall’altro, l’esigenza di assicurare l’accertamento in un tempo che non frustri gli interessi delle persone offese. Sullo sfondo, poi, aleggia la preoccupazione di evitare comportamenti strumentali, finalizzati a lucrare effetti estintivi connessi al passare del tempo.

L’argomento è complesso, irriducibile agli slogan cari alle fazioni in perenne polemica.

La disciplina è stata innovata dalla legge 5 dicembre 2005 n. 251 che ha determinato una r iduzione della prescrizione per reati di medio-alta gravità, coerente con la convinzione di allora, che sarebbe bastato per un’accelerazione dei procedimenti.
Il nocciolo del sistema stava nella disposizione per cui «la prescrizione estingue il reato decorso il tempo corrispondente al massimo della pena edittale della pena stabilita dalla legge». E ciò nell’ottica di lasciare che l’entità della pena, come segnale della maggiore o minore gravità del fatto, condizionasse il termine di prescrizione. Tra le molte eccezioni a questa regola, ricordiamo due “soglie di minima prescrittibilità”, fissate in un tempo non inferiore a sei anni, per i delitti, e quattro anni per le contravvenzioni. I delitti puniti con l’ergastolo sono imprescrittibili: la estrema gravità determina un più vivo ricordo, che non fa scemare l’interesse statale alla repressione.

Il termine può interrompersi o sospendersi per la interferenza tra lo scorrere del tempo e lo svolgimento del processo. A differenza di quanto previsto in altri ordinamenti, la scelta del nostro legislatore è stata di non fare distinzioni nello scorrere del tempo dalla consumazione del reato sino alla sentenza che definisce il giudizio, sicché l’istituto è ormai una sorta di perimetro temporale massimo assegnato al giudizio. E anche le ultime due leggi di riforma non si discostano da questa impostazione.

Veniamo alle recenti riforme. La legge 23 giugno 2017 n. 103 ha avuto come obiettivo quello di estendere il tempo concesso alla giurisdizione per giungere alla sentenza definitiva. La soluzione è stata di sospendere il corso della prescrizione: dal deposito della sentenza, sino al dispositivo che definisce il successivo grado di giudizio, sia in appello che in cassazione, ma per le sole ipotesi di condanna e, comunque, per un tempo non superiore, in ciascuna fase, a diciotto mesi.

Emerge il tentativo di bilanciare due contrapposte ed antitetiche esigenze: l’interesse all’effettività del sistema, che impone tempi di prescrizione lunghi per non pregiudicare l’esercizio dello ius puniendi e l’esigenza di assicurare che il processo penale si concluda entro tempi non irragionevoli.

Prima ancora di poter valutare l’effetto della nuova disciplina, già è stata introdotta una ulteriore riforma, più radicale con la legge 9 gennaio 2019, n. 3, entrata in vigore lo scorso 1° gennaio 2020, con cui si introduce il blocco della prescrizione dopo la sentenza di primo grado, indipendentemente dall’esito, di condanna o assoluzione. La causa di estinzione, quindi, non potrà più maturare nel corso del giudizio di appello o di cassazione.

Emerge il tentativo di bilanciare l’interesse all’effettività del sistema e l’esigenza di assicurare che il processo penale si concluda entro tempi non irragionevoli

Con questa strada il legislatore riconosce il diverso significato che il decorso del tempo assume prima e dopo l’intervento dell’autorità giudiziaria. D’altro canto, non si può tacere che, questa soluzione, se elimina il rischio del maturare della prescrizione a processo inoltrato, espone l’imputato ad un processo dalla durata indefinita che sarà, nei gradi successivi al primo, verosimilmente lento. Oggi, infatti, (piaccia o meno) proprio il rischio della prescrizione, assolve alla funzione di garantire la priorità nella fissazione delle udienze in grado di appello e di cassazione. E va anche detto come un’interruzione (definitiva) del corso della prescrizione durante il processo deve essere accompagnata da misure per contenere la durata dei giudizi e contemplare una qualche forma di rimedio alternativo al proscioglimento, a ristoro del pregiudizio subito dall’imputato per l’irragionevole durata del processo.

Si potrebbe ipotizzare una riduzione della pena, nel caso in cui il processo si sia concluso con l’accertamento della responsabilità dell’imputato, ferma restando in alternativa, la tutela risarcitoria, nell’ipotesi in cui il processo si sia risolto con l’assoluzione dell’imputato. Misure, queste, del resto già previste, in altri ordinamenti europei come la Spagna e la Germania.

Due parole, alla fine: si sente necessità di equilibrare il rapporto tra la prescrizione del reato e lo svolgimento del processo penale, sicché una riforma razionale dell’istituto dovrebbe muovere dalla consapevolezza che trattandosi di realtà eterogenee, la prescrizione del reato e la ragionevole durata del processo, necessitano di risposte diversificate. Consapevolezza che questa ultima riforma, purtroppo, non dimostra di avere.

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