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Spagna al voto: i 5 temi per capire che cosa succederà

Le questioni economiche sono passate in secondo piano, così come quelle sociali. Ma tra il rebus delle alleanze, l’emergere dei partiti destra, le tensioni catalane e la credibilità in Europa, ci sono diversi aspetti (e numeri) da tenere sott’occhio

dal nostro inviato Luca Veronese

Elezioni Spagna, i cittadini: "Politici guadagnano ma non lavorano"

6' di lettura

MADRID – La Spagna vota per la quarta volta in quattro anni. E anche dalle elezioni di questo 10 novembre uscirà un Parlamento frammentato, incapace di esprimere una solida maggioranza di governo. È questa una delle poche certezze: dopo il voto serviranno mesi di trattative, per arrivare (se ci si arriverà) a formare una coalizione, di destra o di sinistra, intenzionata a sostenere un governo.

Sono 37 milioni gli spagnoli che hanno diritto di voto. La campagna è stata dominata dalla Catalogna, dalle condanne a cento anni complessivi per i leader indipendentisti della regione di Barcellona e dallo scontro tra i partiti su come affrontare la questione catalana. I temi economici sono passati in secondo piano, anche perché l’economia pur rallentando cresce a ritmi vicini al 2% all’anno. Così come i temi sociali: nemmeno i migranti o il lavoro sono riusciti a trovare spazio nei dibattiti.

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I temi caldi
Nell’incertezza generale ecco allora cinque temi da tenere sott’occhio in questa domenica. Cinque numeri, cinque aspetti per orientarsi nei risultati elettorali. E per tentare di capire cosa succederà in Spagna nei prossimi mesi.

1. I seggi dei Socialisti e le alleanze possibili
I Socialisti si confermeranno in testa ai consensi. Ma probabilmente perderanno voti e seggi in Parlamento rispetto alle elezioni di aprile, quando sfiorarono il 29% e mandarono alle Cortes 123 deputati. Il risultato dei Socialisti sarà determinante per capire se il premier uscente Pedro Sanchez avrà la forza di mettere assieme una coalizione di sinistra che comprenda Unidas Podemos e anche Mas Pais.

Secondo le ultime rilevazioni, il Partito socialista potrebbe ottenere il 27,2% dei voti, in leggero calo rispetto alle elezioni di aprile, che gli garantirebbero 117 seggi alla Camera. I Popolari di Pablo Casado sarebbero invece in crescita al 20,8% e 92 deputati. Salirebbero i neo-franchisti di Vox con il 13,5% dei consensi e 46 rappresentanti. Più indietro Unidas Podemos (con il 12,4% e 35 seggi) il movimento di Pablo Iglesias nato dalla protesta degli indignados, cresciuto a sinistra nella crisi economica e ora in calo di popolarità, anche per non avere trovato l’intesa con i Socialisti. A seguire Ciudadanos (9% e 18 seggi), il partito centrista e unionista capeggiato da Albert Rivera.

Mentre tra gli altri, in gran parte partiti nazionalisti regionali destinati a raggranellare qualche seggio (comunque importantissimo per formare un governo a Madrid), si sta facendo spazio Mas Pais, il partito ecologista di sinistra messo in piedi da Inigo Errejon e da altri ex di Podemos: potrebbe raggiungere il 3,7% che gli varrebbero cinque deputati.

L’aritmetica dice che mettendo assieme i tre partiti e i tre partiti di destra si ottiene lo stesso risultato: 43,3% dei consensi e 156-157 deputati. In entrambi i casi insufficienti a raggiungere la maggioranza assoluta di 176 deputati sui 350 complessivi della Camera.

«Sanchez ha fatto male i calcoli quando ha deciso di sfidare tutti con un voto anticipato. Poi ha perso il controllo dell’agenda della campagna, perché la sentenza contro i leader catalani lo ha messo in un vicolo senza uscita e ha favorito le posizioni delle destra unionista», sottolinea Oriol Bartomeus, politologo dell’Università autonoma di Barcellona.

Ma i sondaggi hanno margini di errore dichiarati e sbagliano spesso. Ecco perché è meglio fare molta attenzione al risultato dei Socialisti. Per Sanchez, come per la formazione del nuovo governo spagnolo, dieci deputati in più o in meno, del partito e della coalizione, fanno la differenza.

2. La crescita di Vox e la svolta a destra
Le vera differenza tra queste elezioni e la tradizione politica spagnola è la crescita di Vox, il partito di destra, xenofobo e neo-franchista, che ha tratto enorme vantaggio dallo scontro sulla Catalogna, alzando i toni e puntando alla pancia degli elettori.

Vox, secondo le previsioni degli analisti, potrebbe arrivare a raddoppiare i seggi in Parlamento: passando da 24 a 46. Un balzo che obbligherebbe tutto il centro-destra spagnolo a rivedere le proprie posizioni e le proprie politiche. E a scegliere se inseguire la deriva populista di destra, come hanno fatto Popolari e Ciudadanos in questa campagna elettorale soprattutto parlando di Catalogna.

L’altra possibilità, per il leader popolare, Pablo Casado, e per quello di Ciudadanos, Albert Rivera, è tornare al centro, alla tradizione conservatrice (quella di Mariano Rajoy, per restare al recente passato), al liberismo in economia, alle regole di base di una giovane democrazia, senza rigurgiti di dittatura.

«Il dibattito sulla Catalogna tra i partiti è stato di una povertà disarmante. Abbiamo sentito accuse reciproche strumentali ma non ci sono state proposte per avviare un percorso di pacificazione condivisa. Ha prevalso la linea dura destra estrema di Vox, spesso con il coro dei Popolari e di Ciudadanos: pungo di ferro, polizia, repressione», spiega il costituzionalista basco Alberto Lopez Basaguren.

Attenzione dunque al risultato di Vox: restare sotto il 10% per il partito di Santiago Abascal sarebbe una conferma ma quasi una sconfitta, considerate le aspettative. Salire sopra al 13% un successo per loro e una nuova preoccupazione per la democrazia spagnola.

3. I partiti della Catalogna e le tensioni a Barcellona
I partiti nazionalisti regionali, e quelli catalani in modo particolare, sono spesso stati determinanti per gli equilibri di governo spagnoli. E anche oggi lo sono. La sentenza che ha condannato i leader indipendentisti – per aver forzato le leggi spagnole fino ad arrivare al referendum sulla secessione del 2017 e alla successiva proclamazione della Repubblica indipendente – ha allargato ancora di più la spaccatura tra la Catalogna indipendentista e le istituzioni spagnole.

Non di meno, i deputati di JxCat, il partito guidato da Carles Puigdemont (fuggito in Belgio), quelli della Sinistra repubblicana catalana di Oriol Junqueras (in carcere) e quelli dell’estrema sinistra di Cup, che per la prima volta si presenta alle elezioni nazionali, potrebbero di nuovo essere decisivi per Sanchez e i suoi obiettivi di governo.

La tensione in Catalogna sta aumentando e la Spagna non potrà trascinare ancora a lungo una crisi istituzionale e sociale potenzialmente devastante per il Paese. Nelle scorse settimane si è sviluppata in rete la piattaforma di disobbedienza civile, Democratic Tsunami: non si sa chi siano i capi, nemmeno dove siano i server, ma può già fare affidamento su 400mila iscritti. C’è il rischio che i partiti politici siano già stati superati da qualcosa di diverso che presenta molte incognite per la democrazia.

4. Gli indecisi (che alla fine decidono davvero per tutti)
Secondo i sondaggi sono oltre tre milioni in questa vigilia gli spagnoli indecisi: elettori che oscillano, senza particolari riferimenti, da un partito all’altro, da destra a sinistra. E che saranno determinanti anche questa volta.

L’analista politico Kiko Llaneras afferma che, dei 350 seggi totali della Camera, 153 sono già assegnati con nome e cognome del deputato vincente: sono lo zoccolo duro dei partiti e i collegi sicuri dei partiti. Altre decine di seggi sono già probabilmente decisi, ma almeno 110 seggi sono totalmente in gioco e dipendono da un numero di variabili altissimo, spesso da collegare al contesto locale alle esigenze particolari del territorio.

Sugli elettori indecisi può agire la legge della Moncloa, cioè il condizionamento che spinge a votare per il partito di governo o che comunque ha più probabilità di guidare il prossimo governo: in questo caso, i Socialisti di Sanchez. Ma anche i fatti di cronaca possono fare presa su chi ha le idee ancora confuse, e a trarne vantaggio sarebbe la destra di Vox.

L’incertezza dei risultati non sembra arrivare a far prevedere, con alta probabilità, una vittoria schiacciante delle destre: per Llaneras un governo di una coalizione di destra – Popolari-Ciudadanos-Vox – ha meno di una possibilità su dieci di realizzarsi.

5. Il rendimento dei bonos e la credibilità in Europa
Dopo la gravissima crisi finanziaria globale e la successiva crisi dell’Eurozona, la Spagna si è risollevata rapidamente con una crescita economica costante e sostenuta. Anche l’affidabilità del Paese si è consolidata tanto che oggi lo spread tra i bonos spagnoli e dieci anni e i titoli sul debito tedesco di uguale durata è di soli 65 punti base.

«Molto è dipeso da fattori esterni come il costo ridotto delle materie prime o la ripresa globale che hanno sostenuto le esportazioni spagnole mentre la tranquillità finanziaria per Madrid è arrivata dalla protezione della Bce di Mario Draghi», dice Pedro Videla, economista della Iese Business School. «Ma molto resta da fare – continua Videla –. Siamo sicuri che la Spagna saprebbe resistere a un eventuale nuovo shock internazionale? Il Paese non può rinnovarsi e sviluppare le sue strategie economiche future senza un governo. Tra qualche anno gli spagnoli potrebbe accorgersi del tempo che hanno buttato».

Per i mercati l’unico potenziale rischio (e nemmeno grave) è rappresentato dal populismo, di destra e di sinistra, e da eventuali governi condizionati da un approccio diffidente nei confronti del business. Ma almeno nel breve periodo sono da escludere impennate del costo del debito.

Lo spread va però tenuto sotto osservazione nei prossimi mesi. Come indicatore della credibilità di Madrid, anche nei confronti dell’Europa. E non solo nel rispetto dei parametri di bilancio – con il debito pubblico al 100% del Pil e il deficit sempre al limite degli obiettivi concordati del 3% – ma anche della partecipazione al progetto europeo.

In altri termini, «oggi – osserva Videla – i mercati stanno guardando altrove e soprattutto all’Italia. Ma potrebbero rapidamente cambiare obiettivo. E senza un governo è più difficile reagire alla pressione».

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