analisi

Il rischio di una seconda guerra tra Israele e Hezbollah in Libano

Di tutti i conflitti latenti, è il più pericoloso per le ricadute regionali. E riguarda da vicino i militari italiani di Unifil

di Ugo Tramballi

Truppe Unifil di pattuglia in Libano dopo l’uccisione di Qassem Soleimani

3' di lettura

«La propensione dell’amministrazione Trump a irritare gli alleati ed elogiare e proteggere gli avversari rende difficile comprendere la direzione potenziale della politica estera Usa nelle questioni di sicurezza, commercio ed economia», diceva qualche mese fa un rapporto del Csis, l’Istituto di studi strategici di Washington.

È per questo che dopo l’omicidio di Qassem Soleimani, amici e nemici mediorientali faticano a prevedere cosa accadrà.

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Scenari incerti
Come risponderanno gli iraniani dopo i funerali del loro eroe? E soprattutto cosà farà Trump: tornerà alla cautela diplomatica o resterà in modalità guerriera, posture entrambe sperimentate con una certa schizofrenia? Per noi in Europa la risposta significa qualche punto in meno nei listini di Borsa o un relativo aumento del prezzo del petrolio. Per yemeniti, sauditi, iracheni, siriani, giordani, libanesi e israeliani è pace o guerra, bombe, profughi. Perché è possibile che americani e iraniani decidano di non intensificare il loro conflitto oltre i livelli di guardia. Ma è invece probabile che la morte di Soleimaini provochi onde d’urto nella regione: che dove si combatte gli scontri s’intensifichino e dove c’era quiete si torni a sparare.

Lo spettro libanese
Di tutti i conflitti latenti e in corso, il più pericoloso è una seconda guerra fra Israele ed Hezbollah libanese, dopo quella disastrosa (per entrambi) del 2006. Rispetto allo scontro di allora, la milizia-partito sciita filo iraniana sostiene di avere un arsenale di migliaia di missili, più potenti e accurati di prima. È probabilmente vero. Ma rispetto ad allora nemmeno gli israeliani sono rimasti con le mani in mano, come da tradizione quando commettono degli errori che riguardano la sicurezza nazionale.

Nello Yemen il massacro di civili potrebbe riprendere peggio di prima ma il mondo continuerebbe a ignorarlo; se gli iraniani colpissero di nuovo le raffinerie saudite, i sauditi potrebbero rivalersi sulle loro: l’aviazione di Riad è di gran lunga più potente di quella iraniana; da Baghdad gli americani non avrebbero problemi ad andarsene e il Nord della Siria è in fiamme da anni.

L’impegno italiano con Unifil
L’unico conflitto “minore” che potrebbe contagiare l’intera regione e provocare conseguenze anche fuori dal cortile mediorientale, è quello fra Israele ed Hezbollah. È bene ricordare che dal conflitto del 2006 nel Sud del Libano c’è l’Unifil, i circa 10mila militari della forza multinazionale d’interposizione delle Nazioni Unite. Il comandante è un italiano, il generale Stefano Del Col; anche il contingente più grande, 1068 donne e uomini, è italiano. Un aggravamento della tensione al confine fra Libano e Israele è un problema che ci riguarda.

Il premier israeliano Bibi Netanyahu e il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman hanno sempre esortato gli Stati Uniti a dichiarare guerra all’Iran. In una regione dove i protagonisti fanno combattere le loro guerre ad altri, cioè ad attori minori, con una certa presunzione vorrebbero far risolvere il problema per procura agli americani. La loro milizia regionale dovrebbero cioè essere le forze armate degli Stati Uniti.

Una simile autostima è sempre pericolosa in Medio Oriente. È la stessa che coltiva Hassan Sayed Nasrallah, il leader supremo di Hezbollah: il titolo di “Sayed” denota la discendenza dal Profeta. Nel 2006 fu lui a provocare la guerra, uccidendo e rapendo dei soldati israeliani. E quando Israele rase al suolo due terzi delle infrastrutture libanesi, Nasrallah si limitò a commentare: «Non pensavo che gli israeliani avrebbero reagito così».

Le motivazioni «interne» di Israele e Hezbollah
Il leader di Hezbollah è uno degli obiettivi dei giovani che da mesi protestano per un Libano non settario e trasparente. Una guerra contro il “nemico sionista” toglierebbe dalle piazze quei manifestanti e le loro minacciose rivendicazioni. In Israele anche Bibi Netanyahu ha un problema interno: le terze elezioni in meno di un anno e un processo per corruzione. Quando discutono fra loro, non solo di politica, gli israeliani litigano fino a spaccare il capello in quattro. Ma quando l’emergenza nazionale è una guerra, il Paese si compatta e tutto il resto è rimandato.

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