le sanzioni previste dal dpcm

Coronavirus, cosa rischia chi non rispetta la distanza di un metro e i limiti agli spostamenti

Il Dpcm 8 marzo 2020 con le misure di contenimento del Covid-19 prevede sanzioni in caso di mancato rispetto della distanza di un metro tra persone e per violazione delle limitazioni agli spostamenti e degli obblighi imposti a bar, ristoranti, negozi e centri commerciali

di Marco Peruzzi

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5' di lettura

Che cosa rischia chi non rispetta la distanza di almeno un metro tra le persone? E chi si sposta senza valido motivo? Prima di tutto rischia la salute, sua e degli altri, e poi con il suo comportamento può favorire il diffondersi del coronavirus fino a mandare in tilt le strutture sanitarie già in emergenza Covid-19 a due settimane dalla scoperta in Italia.

E poi rischia sanzioni. Che ci sono, e almeno sulla carta arrivano fino all’arresto. Lo prevede il Dpcm con le «Misure urgenti di contenimento del contagio» che dall’8 marzo al 3 aprile 2020 aveva disegnato la nuova zona «arancione» - che dall’intera Lombardia si estendeva alle province di Modena, Parma, Piacenza, Reggio Emilia, Rimini, Pesaro-Urbino, Alessandria, Asti, Novara, Verbano Cusio Ossola, Vercelli, Padova, Treviso e Venezia - ma che da lunedì sera è estesa a tutta Italia.

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La presenza delle sanzioni è ribadita anche nella direttiva ai prefetti diramata dal Viminale a 24 ore di distanza dal varo del decreto. Vi si legge che «la sanzione per chi viola le limitazioni agli spostamenti è quella prevista in via generale dal 650 cp (con una pena prevista di arresto fino a 3 mesi o l'ammenda fino 206 euro), salvo che non si possa configurare un'ipotesi più grave quale quella prevista dall’articolo 452 del codice penale: delitti colposi contro la salute pubblica, che persegue tutte le condotte idonee a produrre un pericolo per la salute pubblica».

È vero. Il Dpcm 8 marzo 2020 (articolo 4, comma 2) introduce in alcuni casi obblighi e divieti specificando anche la sanzione, che riguarda principalmente i gestori di bar e negozi. Ma più spesso si limita a dare consigli e raccomandazioni, rinviando in generale - come precisato nella direttiva del Viminale - alle pene previste all’articolo 650 del codice penale, e cioè l’arresto fino a 3 mesi o l’ammenda fino a 206 euro «salvo che il fatto non costituisca più grave reato». Pene che possono essere eventualmente aggravate per ragioni igieniche e sanitarie e ancor più per ragioni di sicurezza pubblica. E che possono venire ampliate, in riferimento all’articolo 452 del codice penale, fino alla reclusione da 3 a 12 anni.

«Sono per il pugno duro rispetto ad atteggiamenti non tollerabili. Per esempio persone che risultano positive che se ne vanno in giro», ha detto il ministro della Salute, Roberto Speranza: «Abbiamo bisogno di comportamenti corretti dappertutto», ha aggiunto. Ed ecco, allora, i corretti comportamenti da tenere in base al Dpcm e le sanzioni previste dal decreto (non sempre direttamente) per il mancato rispetto.

Distanza di un metro e spostamenti
In Lombardia e nelle 14 province della zona arancione allargata, e ora in tutta Italia, il decreto chiede a malati e non malati di stare a casa il più possibile. Lo fa con inviti, raccomandazioni, divieti e obblighi, ma senza mai associare una specifica sanzione alle violazioni.

Anche chi sta bene deve per esempio «evitare» ogni spostamento: ci si potrà muovere solo per lavoro, per necessità gravi o per motivi di salute. Ma anche gli spostamenti per lavoro sono in qualche modo scoraggiati dal provvedimento. Intanto perché, come le situazioni di necessità o i motivi di salute, devono essere «motivati da comprovate esigenze» da attestare con autodichiarazione in moduli forniti dalle forze di polizia che fanno i controlli. E poi perché il decreto raccomanda ai datori di lavoro, in aggiunta all’estensione dello smart working, di concedere ai propri dipendenti ferie e congedi (tranne che nella sanità).

A chi ha sintomi di infezione respiratoria e più di 37,5 di febbre, invece, il decreto non chiede di evitare, ma «raccomanda» di restare a casa e di limitare al massimo i contatti sociali e contattare il proprio medico.

A chi è positivo al virus, infine, il provvedimento fa «divieto assoluto» di uscire da casa.

Le violazioni a queste regole non sono sanzionate in maniera specifica, ma con il generico richiamo - confermato dalla direttiva del Viminale per chi deve stare in quarantena - all’articolo 650 del codice penale.

La distanza di un metro tra persone nei locali
Sanzioni specifiche sono invece previste per la violazione dei limiti imposti a bar e negozi, come la fissazione dell’orario di apertura dalle 6 alle 18 e l’obbligo per il gestore di garantire la distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro.

In base al decreto chi gestisce bar e ristoranti ha l’obbligo e l’onere di adoperarsi per far rispettare le distanze tra gli avventori. In caso contrario rischia la sospensione dell’attività.

Anche negli altri negozi degli stessi territori il gestore dovrà adoperarsi per garantire la distanza di almeno un metro tra i clienti, pena la sospensione dell’attivià. Ma se il negozio strutturalmente non consente l’adeguamento, allora il decreto del presidente del Consiglio ne prevede la chiusura. Stesse regole nei centri commerciali, dove però la chiusura non è prevista per farmacie, parafarmacie e punti vendita di beni alimentari, per i quali, in caso di violazione, sarà applicata la sola sanzione della sospensione dell’attività.

Limiti e sanzioni nel resto d’Italia
In tutta Italia il decreto dell’8 marzo sospende fino al 3 aprile le attività di pub, scuole di ballo, sale giochi, sale scommesse, sale bingo, discoteche e locali assimilati. La sanzione prevista è la sospensione dell’attività, che si applica anche a bar e ristoranti che non fanno rispettare la distanza di sicurezza di almeno un metro tra persone. Agli altri esercizi commerciali la predisposizione di misure tali da consentire il rispetto della distanza è invece solo «fortemente raccomandata» ma non sanzionata.

Poi, lunedì 9 marzo, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha annunciato l’allargamento a tutta Italia delle regole inizialmente previste solo per la Lombardia e per le altre 14 province. Non più distinzioni in zona rossa, arancione o gialla, quindi. E questo a partire da martedì 10 marzo e fino al 3 aprile. Oltre a estendere le misure “lombarde” al resto d’Italia, il nuovo Dpcm del 9 marzo introduce due ulteriori novità: «Sull'intero territorio nazionale - recita la norma - è vietata ogni forma di assembramento di persone in luoghi pubblici o aperti al pubblico». Inoltre «sono sospesi gli eventi e le competizioni sportive di ogni ordine e disciplina, in luoghi pubblici o privati». Unica deroga per le squadre di calcio italiano impegnate nelle Coppe europee.

Chi vigila sul rispetto delle norme
A garantire il rispetto dei limiti e delle regole ci sono in prima linea i prefetti, i quali si potranno avvalersi delle forze di polizia, dei vigili del fuoco e delle forze armate. A loro la direttiva del Viminale assegna anche «il monitoraggio dell’attuazione delle misure previste in capo alle varie amministrazioni». Mentre a monitorare sull’andamento degli isolamenti domicialiari, così come sui percorsi e sulla diffucione del Covid-19, sono invece chiamati gli operatori sanitari, che dovranno, assieme ai numerosi altri obblighi, anche contattare quotidianamente la persona in sorveglianza.

Articolo aggiornato il 10 marzo 2020, alle ore 7.40

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