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Metalli strategici, la Cina rafforza il predominio sul litio e sul cobalto

Mentre Ue e Usa cercano di diventare più autosufficienti nelle forniture, la rincorsa diventa sempre più difficile: Pechino grazie agli investimenti passati tra un paio d’anni controllerà un terzo della produzione mineraria di litio e oltre metà di quella di cobalto

di Sissi Bellomo

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3' di lettura

Mentre l'Unione Europea e gli Stati Uniti cercano di attenuare la dipendenza dall'estero per i materiali strategici del futuro la Cina non sta con le mani in mano. Pechino ha già una posizione dominante nella filiera dei metalli più richiesti per la transizione energetica, come il litio per le batterie o le terre rare impiegate nei magneti permanenti di auto elettriche e pale eoliche, ma sta continuando ad investire sia in patria che all'estero. E nei prossimi anni ne raccoglierà i frutti, rafforzarsi ulteriormente sul mercato rendendo ancora più difficile la rincorsa dell'Occidente.

Politiche flessibili sulle materie prime critiche

Entro il 2025 secondo Ubs la Repubblica popolare arriverà a controllare circa un terzo della produzione globale di litio (che estrae soprattutto all'estero, grazie ad attività in Cile, Australia e altri Paesi), spingendo la sua quota dall'attuale 24% al 32%. Nello stesso arco di tempo il gigante asiatico riuscirà a dominare oltre metà della produzione di cobalto (rispetto all’attuale 44%), prevede la società di trading britannica Darton Commodities. Quanto alla raffinazione di cobalto, Pechino è già arrivata ad una quota del 77% stima Darton, più che raddoppiando la capacità in 5 anni, a 140mila tonnellate, contro circa 40mila per il resto del mondo.

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Gli studi, entrambi appena pubblicati, si focalizzano solo su due metalli considerati “green” perché impiegati nelle batterie. Ma le strategie cinesi non nascono con la spinta alla decarbonizzazione: da decenni Pechino cerca di non farsi mancare nessuna delle materie prime di cui ha bisogno (oltre che di contenere i costi di approvvigionamento). E le sue politiche si evolvono nel tempo, adattandosi al mutare degli scenari economici, tecnologici e di politica internazionale.

Più esplorazioni “in casa”

Le crescenti tensioni con gli Usa e la chiave anti-cinese degli sforzi (anche europei) per guadagnare una maggiore autosufficienza per le forniture di materiali critici non sono estranee al più recente aggiustamento di rotta, cui ha fatto cenno da ultimo il ministro cinese delle Risorse naturali, Wang Guanghua: il governo cinese vuole intensificare le esplorazioni sul territorio nazionale (con un occhio di riguardo a petrolio, gas, rame, cromo, tungsteno, terre rare e grafite, riepiloga Reuters) e «nazionalizzare» sul fronte delle tecnologie e delle attrezzature minerarie.

La Cina oggi è una potenza soprattutto negli ultimi anelli della filiera dei metalli “green”, quella della raffinazione. Nel caso delle batterie, ricorda una ricerca di Brookings Institution, è «made in China» il 70% di catodi prodotti nel mondo, l’85% degli anodi, il 66% dei separatori e il 62% degli elettroliti. Per la produzione mineraria però è diverso: la Cina nel suo territorio non ha - o non ha trovato - risorse sufficienti da estrarre (le terre rare sono un'eccezione), ma se l'è procurate all'estero, in gran parte in Africa, investendo miliardi per rilevare società o singoli asset e per svilupparne le attività. Una strategia paziente e lungimirante, che altri Paesi hanno trascurato.

Cobalto dal Congo per la filiera cinese

Nel caso del cobalto il prossimo balzo in avanti Pechino lo farà grazie a un’enorme miniera nella Repubblica democratica del Congo che fino al 2020 era in mano a una società Usa: si tratta di Kisanfu, deposito di rame oltre che di cobalto, che Cmoc (la ex China Molybdenum, oggi partecipata dal gigante delle batterie Catl) aveva comprato da Freeport McMoRan. La miniera dovrebbe entrare in produzione tra pochi mesi, con una capacità di 30mila tonnellate di cobalto l’anno, pari al 16% dell’offerta mondiale nel 2022 (oltre che 90mila tonnellate di rame). Poco distante c’è   Tenke Fungurume, altra maxi miniera di cobalto targata Cmoc: anche questa era stata ceduta, nel 2016, da Freeport.

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