Ai e sanità

«AI e big data: la sfida è cogliere le opportunità senza perdere il bagaglio etico e il dialogo col paziente»

L’intervista al professor Silvio Brusaferro, già presidente dell’Iss, sulle nuove tecnologie

di Simona Rossitto

4' di lettura

(Il Sole 24 Ore Radiocor) - La sfida di questi anni è quella di non perdere il bagaglio etico e di dialogo con il paziente e, al contempo, «restare al passo con la tecnologia», cogliendo le opportunità che big data e Ai ci offrono. Silvio Brusaferro, che da qualche giorno ha lasciato la guida dell’Iss e che è professore ordinario di Igiene generale ed applicata all'università di Udine, fa un bilancio dell’apporto delle nuove tecnologie nella gestione della sanità, anche alla luce della sua esperienza nella gestione del Covid. Guardando al futuro, nell’intervista a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e Digit’Ed, gruppo attivo nella formazione e nel digital learning), Brusaferro rimarca gli insegnamenti che ci lascia la pandemia: l’importanza di investire nella ricerca e di avere basi dati condivise, connesse, standardizzate, da poter condividere salvaguardando la privacy.

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Come l’uso dei dati e dell’intelligenza artificiale ha aiutato e può aiutare nella gestione delle pandemie?

Sono strumenti potentissimi che si stanno evolvendo rapidamente; l’Ai lavora sui dati che devono essere comparabili e accessibili. Occorre, dunque, avere basi dati solide per poter sviluppare programmi intelligenza artificiale che possano migliorare la nostra conoscenza e la nostra capacità di predire i fenomeni. Tutto ciò porta con sé un tema molto importante che è quello della validazione, della certificazione dei dati che devono essere solidi e affidabili, e subentra anche un tema di regolazione che garantisce l’utente finale.

A livello giuridico, c’è in Italia e in Europa la cornice normativa adeguata?

Sono mondi che dobbiamo esplorare, stiamo progressivamente assumendo gli strumenti di supporto decisionale o anche a livello terapeutico che possano aiutare a prendere le decisioni. Al momento l’atto medico, anche nei casi di uso dell’Ai, è di responsabilità del professionista che può essere aiutato, orientato, attraverso i nuovi strumenti che sono preziosissimi. Ma dobbiamo aver presente che la relazione tra medico e paziente resta una relazione tra persone. Questo è un baluardo che dobbiamo avere in mente e mantenere : la decisione ultima deve scaturire sempre più un dialogo tra medico e paziente. E’ una condivisione e un orientamento, pensiamo alla compliance nell’assunzione dei farmaci, che si basa su un rapporto di fiducia. Questo rapporto può essere arricchito e potenziato dagli strumenti tecnologici. La garanzia sia per il paziente sia per il professionista consiste, però, nel fatto che ci sia un percorso parallelo sul tema della regolazione. Ciò vuol dire che, prima di mettere a disposizione lo strumento dell’Ai al cittadino e al professionista certificandone l’efficacia e l’affidabilità, l’algoritmo dovrà garantire il rispetto di determinate regole di trasparenza per rendere evidente che i dati su cui si basa l’elaborazione sono solidi e affidabili. In questo senso anche a livello di Commissione Ue c'è un dibattito in corso, il tema è molto delicato.

In chirurgia ci si avvale sempre più della robotica, si rischia di sostituire l’uomo?

Il fatto che i medici possano avvalerci nel campo chirurgico di simulatori, della realtà aumentata, di strumenti di precisione, di visori che arricchiscono quanto vede il nostro occhio, consente di avere informazioni aggiuntive, ma c’è sempre il chirurgo che lavora con questi strumenti. Il fatto che ci siano mezzi che aiutano ad approfondire meglio, a vedere piccole variazioni che possono sfuggire all’ occhio umano, aiuta, ma resta il fatto che la decisione non è automatica, va contestualizzata. Un collega australiano sostiene che quando noi costruiamo sistemi tecnologici, la tecnologia viene poi usata dalle persone, modificando anche il nostro comportamento, e con l’interazione uomo-macchina si costruiscono nuovi sistemi socio-tecnici.

A livello di formazione ci sono oggi in Italia le figure necessarie per gestire i dati e l’intelligenza artificiale?

Il sistema italiano accademico si sta modificando e si sta quotidianamente adeguando alla nuova realtà. E’ ormai chiaro che la figura del medico deve integrare competenze e conoscenze nuove, occorre la figura ibrida degli ingegneri -medici. Anche a livello di formazione c’è da un lato il tema tecnologico, dall’altro quello dell’umanizzazione delle cure: parliamo di etica, comunicazione, dialogo. La sfida di questi anni è quella di non perdere questo bagaglio etico e di dialogo con il paziente e, al contempo, restare al passo con tecnologia.

In conclusione, se arrivasse una nuova pandemia saremmo più pronti grazie all’intelligenza artificiale? Si correrebbero nuovi rischi?

Abbiamo imparato l’importanza di due elementi: da una parte occorre investire nella ricerca e grazie a questa possiamo affrontare le sfide future, compresa quella relativa ai cambiamenti climatici che impattano anche sulla nostra salute; dall’altra parte dobbiamo poter usare algoritmi avendo basi dati diffuse, connesse, standardizzate, che ci diano messaggi coerenti da poter condividere salvaguardando la privacy. Davanti a tutte queste sfide, credo che questo Pnrr, nato come risposta la dramma della pandemia, sia un’ occasione storica che non possiamo perdere. C’è un target chiaro da raggiungere, un forte investimento, ma dobbiamo fare un grande sforzo come Paese, che può portare moltissimi benefici.

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