di Gianni Dragoni
I salvataggi di Stato di Alitalia sono costati 145 euro a italiano
3' di lettura
A litalia deve restituire al ministero dell’Economia un po’ più di un miliardo di euro entro il primo luglio prossimo. Sono i 900 milioni del prestito statale erogato in due tranche dopo il commissariamento (decretato quasi due anni fa, il 2 maggio 2017). Più gli interessi pari a circa il 10% all’anno.
Il termine per il rimborso è stato prorogato tre volte dal governo, in parallelo con lo slittamento della (mancata) vendita. L’ultima proroga è stata fissata al 30 giugno 2019. Poiché è domenica, si va al primo luglio. Ma Alitalia non sarà in grado di rimborsare questo debito.
Per visualizzare questo contenutoapri la pagina su ilsole24ore.com
Prima di spiegare perché, ricordiamo che è salito a 8,7 miliardi il conto di quanto la compagnia è costata allo Stato e collettività dal 1974 a oggi, come Il Sole 24 Ore ha già riferito. È un costo pari a 143 euro per ogni italiano. Neonati compresi.
Il calcolo del Sole 24 Ore è partito dall’analisi di Mediobanca, che ha calcolato in 7,422 miliardi i costi diretti, per lo Stato e la collettività, originati da Alitalia dal 1974 al 2014. Se rivalutiamo la cifra ad oggi è di 7,62 miliardi. Aggiungiamo i 75 milioni versati da Poste nel 2014 e il miliardo tra prestito e interessi: arriviamo così alla bellezza di 8,7 miliardi.
Non sappiamo quale sarà l’esito della procedura di cessione. È stato prorogato al 30 aprile il termine per «l’integrazione dell’offerta» delle Fs. E non si sa se Fs, oltre a Delta e Mef, troverà i soci per farla. Possiamo però dire che, considerando le pratiche successive che sarebbero necessarie a perfezionare la vendita (Antitrust, accordi sindacali), al primo luglio la compagnia sarà ancora in mano ai commissari.
Ma la cassa di Alitalia è già ampiamente inferiore al miliardo da restituire. Infatti al 28 febbraio la cassa era scesa a 486 milioni, oltre ai 193 milioni bloccati in garanzia in depositi (Iata, hedging), ha detto uno dei commissari, Stefano Paleari, il 27 marzo alla Camera. E c’è dell’altro da considerare. Dentro questa cassa ci sono anche i soldi incassati con i «più di 5 milioni di biglietti già venduti per la stagione estiva», ha detto Paleari. Quanti soldi sono? Secondo stime prudenziali sarebbero almeno 600 milioni. Questo è un debito della compagnia per i biglietti prepagati dai clienti per voli ancora da fare, per i quali ci sono costi vivi ancora da sostenere (carburante, aeroporti, oltre al personale).
Questo dimostra che Alitalia non è «padrona» di tutta la cassa che dichiara di avere. L’importo dichiarato è gonfiato dagli incassi di vendite per i voli futuri. E se questi soldi venissero sottratti alla liquidità dichiarata risulterebbe che la cassa è negativa.
Del resto nell’audizione del 27 marzo si sono appresi dei dettagli importanti sui conti. Nel testo depositato dai commissari si legge che alla data del commissariamento di Alitalia, 2 maggio 2017, «la cassa residua era pari a 83 milioni a fronte di: oltre 4,5 milioni di biglietti venduti per un controvalore di biglietti prepagati pari a 531 milioni; una richiesta di deposito Iata di 118 milioni». Già allora, sottraendo i prepagati (cioè 83-531), la cassa sarebbe stata negativa per -448 milioni. Poi è arrivato il prestito di 900 milioni, che è un debito della compagnia. Secondo stime nel 2018, calcolando anche gli interessi sul debito, Alitalia ha riportato una perdita netta di almeno 500 milioni.
Gianni Dragoni
Caporedattore, inviato
P.I. 00777910159 Dati societari
© Copyright Il Sole 24 Ore Tutti i diritti riservati
Per la tua pubblicità sul sito: 24 Ore System
Informativa sui cookie Privacy policy