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Straordinaria Julianne Moore in «Gloria Bell», toccante ritratto al femminile

di Andrea Chimento

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Julianne Moore in «Gloria Bell» di Sebástian Lelio

Julianne Moore in «Gloria Bell» di Sebástian Lelio

9 marzo 2019
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2' di lettura

I remake continuano a essere protagonisti nelle nostre sale: dopo «Domani è un altro giorno» (ispirato a «Truman – Un vero amico è per sempre»), uscito la scorsa settimana, è arrivato il turno di «Gloria Bell», rifacimento del film cileno «Gloria» del 2013.

Più che di un remake, però, si tratta di un autoremake, dato che il film è diretto dallo stesso Sebástian Lelio, che aveva firmato il lungometraggio originale.

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Al posto di Paulina García (attrice che per il ruolo di «Gloria» aveva ottenuto l'Orso d'argento al Festival di Berlino), è Julianne Moore a interpretare la protagonista, una donna di mezz'età con la passione per il ballo che, nonostante diverse esperienze non andate a buon fine, continua a credere nell'amore. In un club conosce Arnold, e chissà che non possa essere lui il (nuovo) uomo della sua vita.

Già regista di film di grande profondità come «Una donna fantastica», Lelio si conferma un autore in grado di trattare con delicatezza la psicologia femminile in questa pellicola girata con cura e illuminata dall'ottima fotografia di Natasha Braier.
E

d è proprio per lo stile visivo che questo film si distacca dall'originale, mentre la base narrativa è la stessa e il copione non regala grandi sorprese per chi ha già visto la pellicola del 2013.

Alcune sequenze ricalcano il film precedente in tutto e per tutto, ma resta comunque un'operazione appassionante, che riesce a trovare una propria personalità nella messinscena e nel lavoro dell'attrice principale.
Julianne Moore è infatti credibile e più intensa che mai in un ruolo non semplice, dove mostra ancora una volta il suo grande talento. È lei il valore aggiunto dell'intero progetto e regala una delle performance più incisive della sua intera carriera.

Tra le novità in sala si segnala anche «Cocaine-La vera storia di White Boy Rick», film che racconta un fatto di cronaca degli anni '80, che ha visto protagonista un quattordicenne diventato un informatore sotto copertura per i federali, prima di affermarsi come spacciatore di alto rilievo.

Si tratta dell'esordio nel cinema americano di Yann Demange, regista parigino che, dopo aver lavorato a lungo per la televisione, aveva firmato «'71» (2014), la sua opera prima per il grande schermo.
Così come nel film precedente, però, il lavoro di Demange funziona solo a tratti: la regia è solida e priva di grandi sbavature, ma mancano un pizzico di coraggio e dei veri guizzi degni di nota.
Il film finisce così col coinvolgere fino a un certo punto e ricorda troppo da vicino altre pellicole simili. Nel cast si segnala la buona prova di Matthew McConaughey nei panni del padre del protagonista.

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«Cocaine-La vera storia di White Boy Rick» di Y. Demange

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