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Come i social hanno cambiato volto alla politica (e ai politici)

di Enrico Marro

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(AFP)

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18 aprile 2019
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2' di lettura

Vanno a braccetto da oltre un secolo. L’evoluzione (o involuzione, scegliete voi) della specie politica ha seguito di pari passo quella dei media. In principio fu la radio. Negli anni Venti l’avvento della radiofonia cancellò la fisicità dei politici: li costrinse a ritirarsi dalle piazze, dove agitavano le folle a suon di slogan populisti, e a raggiungere gli elettori con le loro famiglie nel salotto di casa. Il risultato fu - almeno nei non molti Paesi democratici dell’epoca - quello appunto di trasformare i politici in amabili e intelligenti conversatori da salotto, con Franklin Delano Roosvelt e i suoi discorsi dal caminetto a incarnarne la quintessenza (senza dimenticare gli italiani De Gasperi ed Einaudi).

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Negli anni Sessanta l’arrivo della televisione ha restituito alla classe politica la sua fisicità, almeno bidimensionale, mutando i riflessivi ed equilibrati “zii saggi” dei salotti radiofonici in eleganti, brillanti e sorridenti uomini di bella presenza. A partire da John Fitzgerald Kennedy, per arrivare all'apoteosi negli anni Ottanta-Novanta con Ronald Reagan e Bill Clinton, e in Europa Tony Blair e Silvio Berlusconi.

Nell’epoca dei social media tutto è cambiato di nuovo. E di molto. Come notano i più acuti analisti statunitensi, forse senza i social sarebbe stata dura spazzare via dalla scena politica americana i due clan (i Clinton e i Bush) che l’hanno dominata per oltre vent’anni. Ora lo spazio mediatico è saldamente finito nelle mani di politici “più punk che pop”, come li ha brillantemente definiti lo scrittore Nicholas Carr: Donald Trump e Bernie Sanders negli Stati Uniti, Matteo Salvini e Luigi Di Maio da noi.

Trattasi di “natural born troll”, sempre per restare alle folgoranti definizioni di Carr, in grado di cogliere la quintessenza della comunicazione social. Che non è costruita sull’immagine come ai tempi dei politici “televisivi” bensì sulla personalità, anzi su un tipo particolare di “personalità alla Snapchat”: quella che punta sulla visceralità e sull’emozione dimenticando la ragione e l’equilibrio, oggi diventati così noiosi e fuori moda. Detto altrimenti, il tipo di personalità che serve a calamitare l’attenzione distratta di milioni di potenziali elettori incollati come zombie al loro smartphone, con una comunicazione costruita con raffiche di messaggi raffinati come colpi di machete, bianchi o neri, rigorosamente senza sfumature di grigio, confezionati per essere condivisi, viralizzati e immancabilmente dimenticati. Sono questi i politici ai quali i cittadini dell’era dei social vogliono dare il loro “like”, ovvero il loro voto.

Un secolo dopo, insomma, il cerchio si chiude: la comunicazione politica del terzo millennio torna all’era pre-radiofonica, quella dei primi decenni del Novecento, in cui i leader più efficaci erano quelli che urlavano più forte nelle piazze, infiammando le folle a colpi di slogan populisti.

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