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Quote in radio per la musica italiana: perché non ce n’è bisogno

di Francesco Prisco

Sanremo, Mahmood: "Soldi" canzone autobiografica piena di rabbia

18 febbraio 2019
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3' di lettura

«E se una radio è libera ma libera veramente mi piace ancor di più perché libera la mente», cantava nel 1976 il milanese Eugenio Finardi. Un anno dopo, a 24 chilometri di distanza da Milano, nasceva Alessandro Morelli che, 40 e passa anni più tardi, divenuto deputato della Lega, dopo essere stato direttore di Radio Padania, propone un rivoluzionario Ddl: il 33% delle canzoni trasmesse in radio dovrà essere di autore italiano. Peccato che la proposta, qualora dovesse diventare legge ed essere applicata con solerzia, avrebbe come effetto la diminuzione delle canzoni italiane trasmesse, oggi al 45 per cento del totale.

Radio sovranista
Un paradosso bello e buono quello della «radio sovranista», progetto sul quale il parlamentare si augura di «raccogliere il maggior numero di firme tra i gruppi». E non è escluso che accada, considerando che qualcosa di non troppo diverso era già stato auspicato da Dario Franceschini, ministro dei Beni culturali del Centrosinistra. Viene tuttavia da chiedersi se l’onorevole Morelli, prima di redigere il Ddl acchiappaclick, abbia anche distrattamente buttato lo sguardo sulle statistiche elaborate da EarOne, società che per lavoro monitora con strumenti scientifici l’airplay radiofonico.

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I brani italiani valgono il 45% dell’airplay
Noi lo abbiamo fatto e il risultato è sorprendente. Non nel senso che sorprende noi - per capire che la musica italiana abbonda sulle nostre radio basta infatti accendere e sintonizzarsi su una stazione Fm a caso - ma nel senso che i dati EarOne fanno a cazzotti con la proposta di legge. Le presenza di brani in lingua italiana nel 2018 ha toccato infatti quota 45 per cento. Il picco di presenza, pari al 53%, è stato rilevato nella classifica del 22 giugno 2018, mentre il minimo è arrivato nella settimana del 5 gennaio 2018. E siamo comunque a quota 38%, ben al di sopra della soglia di garanzia Morelli.

Indie a quota 23%
Qualcuno potrebbe comunque sottolineare che l’onorevole non sbaglia quando sostiene che «il 10%» dei brani trasmessi «dovrà essere dedicato ai giovani autori e alle piccole case discografiche», a scanso di eventuali equivoci a proposito di abusi di posizione dominante - veri e presunti - da parte delle major. Sul tema indie label, però, si tratterebbe di una soglia di tutela al ribasso: le produzioni indipendenti, secondo EarOne, rappresentano mediamente il 23% nelle Top 100 settimanali, con picchi del 30 per cento.

Una novità su due è italiana
Può essere però che lo scopo del Ddl leghista sia un altro: magari si tratta di spingere gli autori italiani verso la vetta della Top 100 dell’airplay, notoriamente dominata dai vari Ed Sheeran, Coldplay e Adele. Anche qui, tuttavia, si spara fuori bersaglio: i brani italiani che nel 2018 hanno raggiunto la prima posizione della Top 100 rappresentano l’86%. «Gli artisti che hanno avuto più presenze al numero uno - spiega Maurizio Gugliotta, ceo di EarOne - sono stati nell’ordine Boomdabash & Loredana Berté (chi si dimentica il tormentone Non ti dico no, ndr), Elisa, Jovanotti, Lo Stato Sociale e Luca Carboni. Analizzando quindi le radio date, ossia le novità musicali inviate alle radio settimanalmente, le produzioni italiane sono mediamente del 53 per cento. In pratica più di una novità su due inviata alle radio è in lingua italiana».

L’esempio francese
Il Ddl Morelli è comunque a suo modo un provvedimento storico: per la prima volta, infatti, la maggioranza di governo gialloverde sceglie di ispirarsi alla Francia e più precisamente alla famigerata Legge Toubon del 1994 che difendeva la lingua francese dagli agguati dell’esterofilia dilagante. Ironia della sorte: la musica transalpina esplosa a livello internazionale è quella di Daft Punk, Phoenix, Air, Bob Sinclar e David Guetta, gente che quando suona e canta si esprime preferibilmente in lingua inglese.

Quote protette nell’airplay? Meglio tutelare le canzoni degli artisti emergenti

Enzo Mazza, presidente di Fimi, associazione confindustriale delle major discografiche, ribalta il discorso: «Se proprio ci devono essere delle quote di garanzia nell’airplay, meglio indirizzarle verso gli artisti emergenti che devono costruirsi una carriera». Viene da pensare che forse il disegno dietro al Disegno di legge Morelli era solo cavalcare mediaticamente per un altra settimana le polemiche sovraniste sul Sanremo vinto da Mahmood. Ma se proposta di legge sull’airplay deve essere, caro onorevole, che ne direbbe di una bella moratoria del giro di do? C’è poco da ridere: ha fatto più danni alla musica italiana dell’esterofilia di tanti nostri artisti.

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