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Morto Karl Lagerfeld, il visionario che ha saputo parlare a un’audience globale

di Angelo Flaccavento

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19 febbraio 2019
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2' di lettura

Poteva scomparire, ottantacinquenne, solo in un momento topico della moda, ossia alla vigilia dell'apertura della fashion week milanese, l'inimitabile Karl Lagerfeld, il kaiser con una visione a trecentosessanta gradi, il visionario che ha trasformato Chanel in una potenza del lusso con l'appeal pop e la capacità di parlare ad un uditorio davvero globale; lo sperimentatore che con le sorelle Fendi ha reinventato senza sosta l'idea stessa della pelliccia, status symbol imperituro celebrato e bistrattato in ogni maniera e in fine elevato a vero e proprio medium artistico.

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Con Lagerfeld va via un pezzo significativo della vecchia guardia e dell'ancient regime modaiolo - anche se la fiera e indefessa dedizione al contemporaneo gli avrebbe reso invisa una simile affermazione - ovvero un modo di fare la moda nutrito in primo luogo di esperienza e di professionismo, lasciati deflagrare in una apertura di orizzonti capace di superare i limiti del mestiere.

Non a caso, Lagerfeld si è inventato fotografo, illustratore, persino scrittore, profondendo ovunque un gusto inimitabile, misto di espressionismo teutonico e grandeur francese. Ben prima che per l'illetterato glitterato di turno, privo di conoscenze ma ricco di follower, diventasse prassi assurgere al ruolo di image maker planetario, Lagerfeld è stato l'epitome del direttore creativo, del mida con i superpoteri responsabile non solo del progetto degli abiti, ma dell'ingegneria di tutta l'immagine di un marchio. Non è un caso che, da Chloé a Fendi a Chanel, Lagerfeld abbia fatto davvero successo applicando il proprio di punto di vista ad altro: a marchi storici, o di famiglia, quasi che il distacco, il non coinvolgimento personale aiutassero i pensieri e le idee a volar leggeri.

La linea eponima Karl Lagerfeld, invece, è sempre rimasta un esperimento piccolo e laterale, in fondo di nicchia, marchiato da un tocco a tratti plumbeo. Per le maison per le quali ha lavorato, in primis Chanel, ma anche Fendi, Lagerfeld ha invece precorso i tempi puntando su una gadgettizzazione irridente e pop, antesignana dell'attuale febbre del merchandising: dal portabottiglia di catena alla pelliccia fumetto, ha fatto davvero di tutto, sempre con grande libertà. È proprio questa assoluta mancanza di timore per il giudizio altrui il suo lascito forse più duraturo e necessario.

Certo, Lagerfeld era il Kaiser, e poteva facilmente infischiarsene di stroncature e note dolenti. La verità però è che fin dall'inizio della lunghissima carriera è sempre stato assolutamente sicuro di ogni scelta. Mai pavido, in ogni occasione articolato, tagliente, irridente. L'esatto contrario dello strisciante conformismo, mascherato da libertà creativa, che impera oggi. Mancherà parecchio.

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