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Le ricette miracolose e la lezione di Brexit

di Sergio Fabbrini

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Theresa May e Donald Tusk (Epa)

Theresa May e Donald Tusk (Epa)

8 aprile 2019
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4' di lettura

Problemi complessi non possono ricevere risposte semplici. Né i danni prodotti da risposte semplici possono essere affrontati con ricette tradizionali. Il dramma in scena a Londra è una conferma dei guai che sono generati dai venditori di soluzioni semplicistiche ai problemi dei cittadini. Ma quel dramma è anche la conferma che le conseguenze del semplicismo non si risolvono con il ricorso al tradizionalismo.
Sui guai prodotti dal semplicismo, c’è poco da discutere. Secondo John Springford del “Centre for European Reform”, l’economia britannica è stata seriamente danneggiata dalla decisione del Regno Unito di uscire dall’Unione europea (Ue) con il referendum del giugno 2016. Quella decisione ha condotto a una riduzione della crescita, dovuta a un incremento dell’inflazione e a un decremento degli investimenti (basti pensare che, dal gennaio 2018, l’investimento estero nel Regno Unito è diminuito costantemente per quattro trimestri consecutivi).

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L’esito è un’economia «più piccola del 2,5% rispetto a quello che sarebbe stata se il Paese fosse rimasto nell’Ue». Un Paese che era cresciuto più degli altri partner europei da quando (1973) era entrato nell’Ue (tra il 1973 e il 2016, il Pil pro capite del Regno Unito era cresciuto del 103%, rispetto al 99% della Germania e al 74 della Francia), si trova oggi in una situazione di decrescita. La Brexit ha generato un clima di incertezza con relativa sfiducia tra imprese e famiglie sul futuro del Paese. E senza fiducia, non si può crescere, sia economicamente che culturalmente. Eppure, i sempliciotti della campagna per l’uscita dall’Ue avevano sostenuto che quest’ultima avrebbe reso il Paese più ricco, che i soldi trasferiti a Bruxelles sarebbero stati più proficuamente utilizzati per rafforzare il sistema sanitario nazionale. E così via.

Naturalmente, i sempliciotti non mancano anche in altri Paesi, tra cui il nostro. Dove economisti fai-da-te o politologi fai-da-te improvvisano ogni giorno ricette senza capo né coda, ma che suscitano interesse perché appaiono miracolistiche. Ricette che trovano l’ascolto di qualche leader di governo che pensa di abolire la povertà con un decreto o di riportare la fiducia con un altro decreto. Mentre dall’interno di quello stesso governo, c’è chi sparge veleni personali contro il ‘proprio' ministro dell’Economia.

Se c’è poco da discutere sulle conseguenze del semplicismo, si deve invece discutere sull’approccio utilizzato per gestirne le conseguenze. Brexit è stato un fallimento economico, ma il dopo-Brexit è stato un fallimento politico. Dal giugno 2016 al marzo 2019, l’élite politica britannica ha insistito a cercare una soluzione partigiana al problema di come uscire dall’Ue. Il fallimento politico di Theresa May è consistito esattamente in questo. Non capire che la “questione europea” non può essere gestita secondo la logica che oppone la destra alla sinistra. Theresa May ha continuato a pensare che potesse fare approvare, dal Parlamento di Westminster, il suo accordo con l’Ue (il Withdrawal Agreement che ha richiesto quasi due anni di negoziazioni) tenendo unito il proprio partito. A sua volta, Jeremy Corbin, leader dei laburisti, ha continuato a opporsi al governo May, a prescindere dal contenuto del Withdrawal Agreement, pensando di tenere così unito il suo partito.

Il risultato è un Paese che è arrivato sull’orlo di un burrone, come mai era avvenuto nella sua storia moderna. Ogni proposta relativa al dopo-Brexit è stata bocciata da Westminster, divisa in tre blocchi minoritari (con sottogruppi al loro interno) promotori di soluzioni reciprocamente incompatibili. È stato ripetutamente bocciato il Withdrawal Agreement, è stata bocciata la proposta di uscire senza un accordo (il No Deal), è stata bocciata la proposta di organizzare un secondo referendum (il People’s Vote). Di fronte alle incertezze del governo, il Parlamento aveva rivendicato con successo il suo potere di principale istituzione del Paese. Ma si è trattato di una vittoria di Pirro. Perché il Parlamento, dividendosi, non ha saputo esercitare il suo potere, frantumando lo schema bipolare della politica britannica.

Solamente mercoledì scorso, May e Corbin hanno deciso di incontrarsi per trovare una soluzione nazionale, e non partitica, al dopo-Brexit, prima di far cadere il Paese nel burrone il prossimo 12 aprile (quando il Regno Unito dovrà lasciare l’Ue se non troverà un accordo al suo interno accettabile dai 27 partners europei). Tuttavia, l’incontro non ha ancora portato ad una soluzione, se è vero che la stessa May ha dovuto riconoscere (in una lettera dell’altro ieri) che la Brexit potrebbe non avvenire.

Ecco le ragioni del fallimento del tradizionalismo politico. Pensare di poter gestire la politica dell’interdipendenza come era stata gestita quella dell’indipendenza. La sinistra e la destra sono nate e si sono consolidate all’interno dell’ordine politico ed economico dello stato nazionale (indipendente), ma si sono dimostrate inadeguate per gestire la politica di Stati nazionali divenuti Stati membri dell’Ue (quindi reciprocamente interdipendenti). Il cosiddetto Irish backstop (garantire l’assenza di una frontiera tra la Repubblica d’Irlanda e l’Irlanda del Nord britannica) ha accentuato, ma non creato, le difficoltà del dopo-Brexit.

Queste ultime sono dovute al fatto che i due maggiori partiti britannici sono profondamente divisi al loro interno. Se si vuole trovare un accordo con l’Ue, quei partiti dovranno de-strutturarsi dando vita a un «governo di unità nazionale», sostenuto da una coalizione spuria di parlamentari. Se si vuole invece preservare l’unità di quei partiti, allora sarà improbabile trovare un accordo con l’Ue. Così, per il Regno Unito, uscire dall’Ue senza un accordo avrebbe conseguenze economiche drammatiche. Uscire dall’Ue con un accordo avrebbe, invece, conseguenze politiche drammatiche per i suoi partiti.

L’incertezza economica combinata con l'instabilità politica ha sempre condotto al declino. E così potrebbe avvenire anche in Italia, dove il semplicismo anti-Ue del governo sta minando la fiducia nell’economia e il tradizionalismo (di sinistra e destra) dell’opposizione sta preservando un sistema politico inadeguato a gestire l’interdipendenza.

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