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L’arte del bisognino

18 marzo 2019
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1' di lettura

L’umorista e scrittrice statunitense Erma Bombeck ha lasciato un consiglio, sempre valido: «Non accettare mai un drink da un urologo». Dopo la pubblicazione anche in Italia del saggio di Jean-Claude Lebensztejn con numerose illustrazioni, «Figure piscianti» (Utet), conviene aggiungere una raccomandazione: se avete una rappresentazione di qualcuno intento a fare pipì, chiamate un esperto. Magari vale un sacco di soldi e si trasformerà in prezioso ausilio per capire la storia dell’arte. Certo, se fosse una variante dei «Piss Paintings» di Andy Warhol, nessuno potrebbe tentare obiezioni. Ma potrebbe essere anche una fotografia ottocentesca immortalante l’atto della minzione, una particolare etichetta di quella birra belga che utilizza un putto per mostrare l’efficacia del prodotto. Pornografia? Immagini oscene? Non diciamo sciocchezze! Lo sapevate che in un affresco nella basilica superiore di Assisi c’è un angelo dietro una colonna che sembra abbia necessità di soddisfare il suo bisognino proprio sopra la Crocefissione di Cimabue? Sia detto in soldoni: è giunto il tempo di rivalutare un atto che ci fa star bene e, al tempo stesso, è stato raffigurato nell’arte ed è ben conosciuto da qualche fantasioso impenitente. La pipì va considerata segno di salute, dopo Lebensztejn fonte artistica, aiuto per pratiche che non è il caso di descrivere e anche altro. Ah, ce ne stavamo dimenticando: le antiche edizioni del «Vocabolario della Crusca» forniscono etimologie e citazioni necessarie per rendere dotto l’atto dell’urinare. Non cercate però «pipì», perché è espressione infantile e recente.

(Modesto Michelangelo Scrofeo)

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