di Davide Colombo
Bankitalia ha 2.452 tonnellate di oro (Fotogramma)
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Il 26 settembre scadrà il Central Bank Gold Agreement (CBGA) l’accordo tra le maggiori banche centrali, sottoscritto a Washington nel settembre 1999 per limitare le vendite di oro da parte delle banche centrali sottoscrittrici. Cadrà quindi ogni vincolo sulle vendite di oro da parte delle 21 banche centrali (quelle dell’eurozona più le banche centrali di Svizzera e Svezia) che dal 1999 in avanti, a cadenza quinquennale, avevano sempre rinnovato l’accordo. Il mercato dell’oro, nei vent’anni trascorsi, si è «sviluppato notevolmente in termini di maturità, liquidità e base degli investitori» si legge nel comunicato Bce diffuso a fine luglio. Ed è per questa ragione che le banche centrali non vedono più la necessità di una accordo formale. Vendite non coordinate di ingenti ammontari di riserve auree come quelle che alla fine degli anni ’90 determinarono significative riduzioni del prezzo del metallo (prima l’Australia, poi la Svizzera, infine la Gran Bretagna, quando il Cancelliere dello Scacchiere Gordon Brown annunciò una vendita in asta di circa 400 tonnellate) sono ormai un ricordo lontano.
Sempre più oro nelle riserve
Almeno dal 2010, a livello globale, le riserve auree delle banche centrali crescono ininterrottamente e l’anno scorso gli acquisti netti hanno superato le 650 tonnellate, il top dal 1971, quando è stata decretata la fine del Gold Standard. Ad accumulare lingotti nei caveau sono diversi paesi emergenti ma soprattutto Cina, Russia (che sono anche tra i principali produttori del metallo giallo). E, ancora, India, Turchia, Polonia e altri. Nonostante la flessione del 30% registrata tra il 2013 e il 2014, nell’ultimo decennio l’oro ha garantito rendimenti cumulati del 75% e per tutte le banche centrali e gli investitori le riserve auree rappresentano sempre di più un’attività sicura, un “safe haven asset”, una diversificazione di portafoglio e insieme una protezione dai rischi sistemici.
L’oro di Via Nazionale
La fine del CBGA è stata accompagnata dalla rassicurazione delle 21 banche centrali coinvolte che l’oro continuerà a rappresentare un elemento cruciale delle loro riserve e che nessuna ha pianificato vendite di rilievo. Con le quotazioni di questi giorni, ai massimi dal 2013, l’oro ha confermato il suo ruolo di safe asset in presenza di un aumento delle tensioni geopolitiche e dell’incertezza economica. Il 7 agosto l’oro ha superato i 1500 dollari l’oncia e questo si è tradotto in un aumento consistente del valore delle riserve auree delle banche centrali. Per la Banca d’Italia che ne possiede 2.452 tonnellate ha significato un aumento di oltre il 15% rispetto a inizio d’anno per un controvalore in euro del Conto Rivalutazione ben superiore ai 100 miliardi.
Vedremo dove ci si fermerà a fine anno ma è bene dire che questi maggiori valori non si tradurranno in utili più elevati di Bankitalia e quindi in un dividendo più pesante per lo Stato e i partecipanti al capitale. Come previsto dalle regole contabili dell’Eurosistema, queste maggiori plusvalenze, potendo essere successivamente rovesciate dal mercato, non confluiscono nel conto economico della Banca, che è in larga misura isolato dalle possibili oscillazioni del prezzo dell’oro, sulla base di una logica prudenziale.
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Non si muoverà un lingotto
Non dimentichiamo che l’oro non è “emesso” da alcuna autorità, Stati compresi, quindi per sua natura non ha un rischio di credito (ovviamente mantiene quello di mercato legato alle oscillazioni del suo prezzo). È per questa sua caratteristica che ha ottime qualità di diversificazione del rischio rispetto ad altre attività finanziarie, soprattutto in presenza di eventi estremi e rischi sistemici, ed è una delle ragioni per cui l’oro è presente nei bilanci delle banche centrali. L’espansione considerevole nell’ultimo decennio dei bilanci delle principali banche centrali a seguito delle misura straordinarie di politica monetaria e i conseguenti aumenti dei rischi presenti in bilancio, soprattutto di natura finanziaria e creditizia, il persistere di tensioni geopolitiche a livello internazionale e le incognite sulla dinamica della congiuntura economica globale inducono a pensare che le riserve auree resteranno dove sono. Insomma tutti liberi di comprare o vendere senza limiti né coordinamento, sulla carta. Ma nessuno, a breve, muoverà un lingotto.
Davide Colombo
redattore esperto
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