di Giorgio dell'Orefice
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Cade il monopolio francese nelle vendite di vino in Cina. Nei primi cinque mesi del 2019 i produttori australiani (forti anche di un accordo di libero scambio) hanno venduto in Cina vino per 306 milioni di euro contro i 271 milioni della Francia. A rivelarlo è Wine Monitor di Nomisma.
Si tratta di un risultato di grande rilievo per gli equilibri globali del settore vitivinicolo perché il Far East (l'intera area asiatica compresi anche Giappone e Corea) incalza ormai da vicino il Nordamerica di Usa e Canada come principale mercato di consumo di vino al mondo.
Tornando al “monopolio” francese del vino in Cina secondo i dati di Wine Monitor la quota di mercato di Parigi è scesa ora sotto al 30% contro il 43% di dieci anni fa e dopo aver sfondato in alcuni frangenti persino il muro del 50%.
Per questo il soprasso australiano segna in qualche modo la fine di un'epoca e di un lungo predominio iniziato oltre 30 anni fa quando la Francia, anche grazie al volàno delle proprie catene della grande distribuzione era sbarcata in massa con i propri vini e i prodotti della gastronomia made in France su un mercato ancora totalmente autarchico sul piano dei prodotti agroalimentari (e sul quale il vino era un prodotto pressoché sconosciuto).
Il soprasso dei vini francesi da parte delle etichette australiane è figlio di diversi fattori. Da un lato il progressivo calo degli acquisti di vino dall'estero da parte dei cinesi che dopo il meno 2% fatto registrare a fine 2018 nella prima parte del 2019 ha riportato una nuova flessione del 14% in valore.
In questo quadro i più penalizzati sono stati proprio i francesi che hanno perso il 31,5% del proprio fatturato. Spagnoli e italiani con una riduzione del giro d'affari rispettivamente del 16,9% e del 12,5% hanno limitato i danni mentre invece australiani e cileni (forti di regimi tariffari più favorevoli che si riflettono su minori prezzi di vendita) hanno visto le proprie vendite crescere rispettivamente del 4,8% e 8,4%.
Il calo nell'import cinese di vini francesi – secondo i dati di Wine Monitor - ha riguardato i vini fermi imbottigliati – che rappresentano a volume il 95% del totale – diminuiti a valore di quasi il 34%, mentre ha risparmiato gli spumanti (principalmente Champagne) che all'opposto sono cresciuti di oltre il 24%.
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Un trend analogo a quello registrato dalla Francia ha toccato anche l'Italia con un calo degli acquisti in valore del 15% di vini fermi, mentre gli spumanti sono aumentati del 5%.
«Il prezzo gioca un ruolo fondamentale negli acquisti dei vini da parte dei cinesi - ha spiegato il responsabile di Wine Monitor di Nomisma, Denis Pantini - e gli accordi di libero scambio di cui godono australiani e cileni (che permette loro di entrare in Cina a dazio zero) li favoriscono rispetto ai competitor, anche nei confronti dei più blasonati francesi che fino a qualche anno fa sembravano immuni da queste logiche concorrenziali».
Ne è riprova quanto accaduto all'import di vini statunitensi in questi primi cinque mesi: la guerra commerciale combattuta da Trump con la Cina a colpi di aumenti tariffari alle frontiere ha portato le vendite di vini Usa sul mercato cinese a -54% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente.
È invece fuori di dubbio come l'Australia abbia deciso di investire pesantemente sul mercato cinese, tanto da farlo diventare il primo mercato di sbocco dei propri vini. Oggi il 40% dei ricavi derivanti dalle vendite oltre frontiera dei vini fermi imbottigliati australiani deriva proprio dalla Cina quando dieci anni fa tale incidenza non arrivava al 4%.
«Ma il sorpasso australiano ai danni della Francia - aggiunge Pantini - può anche essere interpretato come un cambiamento nelle modalità di consumo dei vini da parte dei cinesi, un segno di maturità e maggior consapevolezza negli acquisti, non più dettati solo dalla ricerca di status e notorietà, ma anche di qualità al giusto prezzo. E, in questo caso, il vino italiano può giocare la sua partita, a patto di farsi conoscere dal consumatore cinese» .
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