Mattarella: Repubblica si inchina alle vittime di Capaci
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Il soprannome “verro”, ossia “porco”, se l’era guadagnato per la ferocia con cui massacrava i suoi nemici. Questo è Giovanni Brusca, l’uomo che esordì come sicario di Cosa nostra con l’omicidio del giudice istruttore Rocco Chinnici; che innescò l’esplosivo che uccise a Capaci Giovanni Falcone con la moglie Francesca Morvillo e gli uomini della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro; che freddò e sciolse nell’acido il tredicenne Giuseppe Di Matteo, figlio del collaboratore di giustizia Santino Di Matteo; che ha commesso più di 150 delitti.
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È la storia di uno dei più sanguinari uomini della mafia siciliana, arrestato a maggior 1996 nel suo villino affacciato sul mare a Cannatello (Agrigento). In quella casa gli inquirenti trovano le tracce della latitanza: pizzini e block notes con su riportati i numeri del traffico di droga e delle estorsioni che continuava a gestire, forte di una copertura della mafia agrigentina.
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A “scuola” di mafia il “verro” ci va fin da piccolo. Il padre Bernardo Brusca, boss di San Giuseppe Jato, lo educa alle regole di Cosa nostra. Già nel 1985 è ai vertici del mandamento. Sarà scelto da Bernardo Provenzano come nuovo capo dei Corleonesi dopo l’arresto di Salvatore Riina e Leoluca Bagarella.
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Nel 1983 è nel gruppo che uccide il giudice istruttore Rocco Chinicci. Una bomba posizionata sotto l’abitazione dell’alto magistrato, padre del “pool” antimafia di Palermo, sarà il “battesimo” per Brusca. Nel 1992 Brusca sarà nel gruppo di fuoco che fredderà il parlamentare della Democrazia Cristiana Salvo Lima, politico legato a doppio filo con Giulio Andreotti.
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Ancora nel 1992 c’è la mattanza di Capaci, dove Brusca dall’alto di una collina premerà il tasto del telecomando che farà esplodere il tratto autostradale dove stava viaggiando il convoglio di Giovanni Falcone. Una strage.
Brusca ha avviato una proficua collaborazione con l’autorità giudiziaria. Ha ammesso i delitti e aiutato la magistratura a ricostruire fatti legati ai fenomeno di Cosa nostra
Tra i crimini più efferati c’è l’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio dell’affiliato a Cosa nostra Santino Di Matteo. La sua collaborazione con l’autorità giudiziaria non sarà perdonata. Santino è ucciso a mani nude e poi sciolto nell’acido.
Brusca ha avviato una proficua collaborazione con l’autorità giudiziaria. Anche per questo la condanna è stata di 30 anni e non l’ergastolo. Secondo la Dna – sulle base di alcune relazioni – Brusca può lasciare il carcere due anni prima della fine della pena. Un parere favorevole alla richiesta dei legali dell’ex boss di revocare il carcere per la misura della detenzione domiciliare.
Ora tutto è rimesso alla Corte di Cassazione, che in giornata prenderà una decisione. Sull’istanza dei difensori di Brusca, comunque, è già giunto un parere negativo del pg della Cassazione.
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