di Stefano Salis
Carlo Orsi nel suo stand di Frieze Masters, accanto al dipinto di Botticelli, il ritratto di Michele Marullo Tarcaniota che ha catturato l’attenzione di operatori e stampa (Alvaro Felgueroso Lobo
7' di lettura
L’eleganza, se uno non ce l’ha, non se la può dare. Ah, no, quello era il coraggio. Eppure, a ripensarci bene, forse le due cose non sarebbero poi così lontane, almeno a vedere questo personaggio, che certamente non difetta di alcuna. Carlo Orsi, 65 anni portati con ostinata giovinezza, laurea in architettura, è il più importante antiquario del mondo, almeno se parliamo di antichi maestri, gli Old Masters, come li definiscono nei mercati che contano. E dove lui, ovviamente, è presente e ben radicato, con una sede a Londra già da qualche anno, nel distretto delle più prestigiose case d’asta e dei negozi più belli del mondo, al 15 di Old Bond Street, con una sigla, Trinity Fine Art, fondata nel 1984 da due ex direttori di Sotheby’s Italia, e da lui acquisita nel 2016.
È gia seduto, quando arrivo, al Bacaro di via Montenapoleone: stiamo nel dehor, in una bella giornata autunnale, quando il cielo di Milano, terso e finalmente nitido, è così alto che sembra di essere su un’isola mediterranea e non nel cuore del business del bello. Lo conoscono (e lo riveriscono) tutti, camerieri e altri avventori: si vede che è un “regular”, come dicono gli inglesi. E, del resto, la sua celebre galleria, che a Milano porta il suo nome – l’ha rilevata dal padre, Alessandro, che la fondò nel 1952 e la condusse fino al 1986 –, è proprio qui dietro, all’interno di un palazzo settecentesco in via Bagutta. Mi sorride, si alza: è vestito in modo impeccabile e la sua figura, slanciata e rilassata, contribuisce a conferirgli una notevole aura di comfort, la stessa che lo circondava in una iconica pubblicità per Loro Piana di qualche anno fa, quando posò con una scarpa bucata in primo piano eppure sprigionava una irreprensibile, e autentica, allure da gentleman. L’incontro è stato preceduto da una partita a scacchi con la sua agenda: Firenze, Londra, New York, altri appuntamenti. Non lascia molti spiragli, ma, finalmente, siamo qui; ordiniamo e Orsi aspetta a scegliere il vino, per abbinarlo correttamente. Ma prima fa portare una porzione (che si rivelerà molto generosa; tanto che Orsi annullerà la sua seconda comanda: la perfetta linea, appunto, va mantenuta) di eccellente parmigiano reggiano; piatto che conduce a un rosso toscano: «Sono miei amici – spiega soddisfatto, guardando la bottiglia – e fanno un ottimo vino».
Versa, e la conversazione non può che partire dall’evento che, ancora una volta, l’ha fatto arrivare al centro delle cronache d’arte di tutto il mondo (la rassegna stampa recente è impressionante): ha portato a Frieze, la mostra mercato di arte contemporanea di Londra, un pezzo mozzafiato: un Botticelli. È il ritratto di Michele Marullo, l’ultimo dipinto del maestro del Rinascimento ancora in mani private (è di una famiglia spagnola) che, negli ultimi quindici anni, era di casa, esposto, al Prado. In tempi di attribuzioni fantasiose, machiavellici leonardi e “cimabui” nel tinello marron, è una bella garanzia, diciamo. L’effetto è stato clamoroso: un unico quadro in uno stand immacolato. Il punto, proposto ai visitatori, era concentrarsi solo sull’opera d’arte, su una opera d’arte. Accoglierla, vederla, starle vicini. «Sono venuti tutti - racconta -: collezionisti, galleristi, artisti, giornalisti, personaggi come i coniugi Beckham. È stato l’evento della fiera. E anche se sono noto per fare degli stand sempre un po’ particolari, stavolta è stato eccezionale. E poi Frieze Masters era davvero il luogo migliore per proporre un’opera “iconica” a un pubblico mondiale». Anche perché un dipinto così non ti ricapita più, persino in una carriera “stellare” come quella di Orsi.
«La quotazione è da affare», dichiara con un sorriso enigmatico, ma convinto di ciò che dice. Infatti sono “solo” – e concordiamo, ovviamente – 30 milioni di euro. Gli artisti contemporanei (o gli impressionisti, per dire) strappano cifre molto, molto più alte. Il perché è presto detto. «C’è un vincolo. La Spagna non vuole che l’opera esca dal Paese. Allo stesso tempo il Prado ha detto chiaramente che non la comprerà». Del resto ne hanno altri, dono, anche essi, della stessa famiglia Cambó: e sono le straordinarie scene della storia di Nastagio degli Onesti di boccaccesca memoria. Che ne è stato, dunque, del dipinto, a fiera conclusa? «Il Botticelli è tornato in Spagna – dice Orsi – e aspetto di avere il nuovo permesso di esportazione». Un compratore ideale, infatti, potrebbe essere un americano, che accetti di acquistarlo, tenerlo vicino per un po’, magari, e poi farlo ritornare in Spagna, in una sede adeguata, a quel punto legandolo al suo nome. Anche per questo Orsi sarà a New York – insieme a Londra indiscussa capitale mondiale del mercato dell’arte – nei giorni successivi al nostro incontro.
L’esito della vicenda Botticelli ci porta dunque a parlare del prezzo, e del fatto che un’opera di eccellente fattura come questo (è, tra l’altro, un dipinto totalmente attribuibile al maestro, senza nessun intervento di bottega, come in altri casi), tuttavia non quoti, per il mercato, quanto artisti contemporanei molto meno universalmente noti. Mi spingo a dire, perciò, che gli Old Masters sono “sottovalutati”. Orsi sfoggia qui il suo savoir vivre. «Non penso che siano sottovalutati. Sono solo per un florido mercato di nicchia dove, in alcuni casi, i prezzi si avvicinano a quelli dell’arte contemporanea». Ciò che è sicuramente diverso è la percezione che si ha generalmente tra grandi maestri e contemporanei. I dipinti di nomi del passato sono immediatamente considerati “patrimonio” nazionale da qualcuno. E benché gli dica la mia personale posizione, del tutto ininfluente e molto sfacciata – le opere d’arte dovrebbero poter essere sempre vendibili, perché quasi sempre nascono con questo intento – Orsi, che è stato presidente degli antiquari italiani nel 2016-17, e ha dovuto confrontarsi più volte con il ministro di turno, oltre che conoscere molto bene i problemi della categoria, su questo è più prudente, ma non rinuncia a una sua posizione. «Certo, ci sono ancora molti problemi legati al nostro lavoro che effettivamente non aiutano, anzi affossano il mercato,vedi per esempio le leggi sulla libera circolazione». E continua, calibrando le parole, con la sua flemma British: «Purtroppo l’Italia è indietro su tante cose. Per il nostro mercato basterebbe adeguarsi, senza nulla perdere, alla realtà di oggi, con uno scambio almeno europeo, in armonia con le leggi vigenti in tutti i Paesi che ci circondano».
Del resto, Orsi è un mercante atipico: e forse in questo sta il suo coraggio. Non si è concentrato “solo” sulla vendita – e nella sua carriera ha avuto modo di vendere opere di assoluta qualità museale come Vasari, Pontormo, Canova, Pompeo Batoni – ma sulla ricerca, sullo studio. «La professionalità è il requisito essenziale nel mio mestiere», spiega. «Tutto quello che ho assorbito in termine di gusto, occhio, sensibilità, lo devo a mio padre. Mi fido del mio istinto e del senso della qualità, che spesso prevale sulla conoscenza. Non sono uno storico dell’arte». Forse, questo, a stretto rigore, è vero: non lo è. Eppure, passano da lui i pezzi più pregiati. Durante la sua attività, la sua galleria (oggi diretta dalla figlia Virginia) ha avuto il privilegio di annoverare tra i clienti alcuni dei più prestigiosi musei quali il Met, le Gallerie dell’Accademia di Venezia, il Musée d’Orsay, oltre che, va da sé, i più importanti collezionisti privati.
«Penso che se arrivo a trattare pezzi così importanti è perché godo della fiducia delle persone che mi conoscono per la mia professionalità» spiega con una buona dose di understatement. Insieme al Botticelli, per dire, ora ha per le mani un altro pezzo strepitoso, il busto in bronzo di Urbano VIII di Bernini – «l’artista che amo di più» aggiunge, e non per posa, «e lo vorrei sempre avere in galleria». È in vendita, da parte della famiglia Corsini, e la Galleria Carlo Orsi lo ha esposto alla recente Biennale Antiquaria di Firenze. Dovrebbe essere venduto a 10 milioni di euro e gli interessati non hanno tardato a farsi riconoscere. «Per esempio la Galleria Borghese, attraverso la sua direttrice Anna Coliva, che ha lanciato una sorta di fundraising, per racimolare la cifra. Ma anche il Museo di Palazzo Barberini è interessato. In fondo Papa Urbano VIII era un Barberini».
Le ultime riflessioni sono su come lui ha interpretato questo mestiere e come, a coronamento di una carriera che lo ha visto iniziare a Milano dal papà, con un ritmo di lavoro frenetico e un “fare” anche artigianale, spesso “sporcandosi” le mani, muovendo le opere, oggi sia tutto molto diverso. «Direi che per come si è evoluto il lavoro, i mercanti sono oggi diventati più studiosi o, almeno, collaborano con storici dell’arte per dare un servizio più completo al cliente. È un metodo che seguo da molti anni pubblicando cataloghi». Di assoluto valore scientifico, come, per l’appunto, quello dedicato al Marullo di Botticelli. Orsi, non di meno, si è ritagliato un ulteriore tassello personale su questo sfondo. «I colpi più belli che ho effettuato nella mia carriera, sono stati fatti quando, ogni volta da “detective”, scopro qualcosa di interessante che poi va ad arricchire una collezione o un museo. Per me la soddisfazione massima è comperare, e il mio possesso finisce qui; poi sono felice di passare ad altro e non trattenere, altrimenti sarebbe difficile staccarmi dalle opere». È bene, alla fine, lasciarle andare, ciascuna al suo destino, museo o privato – un’eterna corsa verso la prossima tappa, la stessa che attende Orsi, milanese giramondo, che ora mi saluta, senza mostrare fretta ma con piglio deciso, prima di infilare la porta e svoltare l’angolo. Lascia intendere di avere già pagato, magari solo con un gesto. Io non me ne sono accorto. L’eleganza sta anche in queste cose.
Stefano Salis
responsabile Commenti
P.I. 00777910159 Dati societari
© Copyright Il Sole 24 Ore Tutti i diritti riservati
Per la tua pubblicità sul sito: 24 Ore System
Informativa sui cookie Privacy policy