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In Toscana crescono le aziende cosmetiche

di Silvia Pieraccini

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Andrea Bocelli. L'azienda pisana Speziali Laurentiani produce su licenza il marchio Bocelli 1831, usando le vinacce provenienti dalla tenuta del tenore a Lajatico

Andrea Bocelli. L'azienda pisana Speziali Laurentiani produce su licenza il marchio Bocelli 1831, usando le vinacce provenienti dalla tenuta del tenore a Lajatico

Marchi antichi e un'ottima marginalità attraggono investimenti anche dall'estero

31 gennaio 2020
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3' di lettura

La Toscana scopre di avere un “nuovo” settore produttivo, vicino al mondo del lusso e al tradizionale sistema del made in Italy con cui condivide creatività e competenze artigianali. Il settore, messo in luce per la prima volta dal centro studi di Intesa Sanpaolo, è quello della cosmetica e profumi, ed è presidiato da un centinaio di aziende sparse nella regione con 1.300 addetti che, in linea con quanto sta avvenendo a livello nazionale, stanno crescendo a ritmo sostenuto, moltiplicando i progetti, aprendosi ai mercati internazionali. Questi numeri fanno della Toscana “una delle principali regioni con l'8% del settore”, afferma Intesa Sanpaolo che indica Firenze come settima provincia italiana specializzata nella cosmetica (dopo Lodi, Cremona, Parma, Roma, Bergamo, Milano).

Le aziende sono perlopiù piccole e il focus è sull’alto di gamma. Nel 2018 l'export toscano di cosmetica e profumi, secondo le elaborazioni Intesa Sanpaolo per Il Sole 24 Ore, ha toccato i 223 milioni, con una crescita media annua del 9,2% nell’ultimo decennio, superiore a quella nazionale. Nel 2008 l’export era 92 milioni. I principali mercati di sbocco oggi sono Hong Kong, Stati Uniti, Francia, Giappone, Corea e Spagna. Il saldo commerciale è aumentato di oltre 100 milioni nell'ultimo decennio, fino a raggiungere +170 milioni nel 2018.

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Ma la sorpresa toscana non finisce qui. Il settore sta attirando l’interesse di investitori finanziari per le potenzialità di crescita e la marginalità delle aziende (vicina al 10% nel 2018). Poche settimane fa il fondo Italmobiliare ha rilevato il 20% di Officina profumo farmaceutica di Santa Maria Novella una delle più antiche d’Europa (risale al 1612), per 40 milioni di euro. A cedere la partecipazione è stato il presidente Eugenio Alphandery. Nel 2019 l’azienda ha realizzato un fatturato consolidato di oltre 31 milioni con un margine operativo lordo (ebitda) di 13 milioni, pari al 42%. In ottobre Ludovico Martelli, storica azienda fiorentina di beauty (55 milioni di fatturato 2018 con 8,4 milioni di utile) che possiede marchi come Proraso e Marvis, ha venduto il 30% al fondo Nuo Capital, private equity di Hong Kong, per circa 50 milioni. Due anni prima, nel 2017, il marchio fiorentino di fragranze d’ambiente Dr Vranjes (18,5 milioni i ricavi 2019) aveva ceduto il 70% al fondo BlueGem sulla base di una valutazione dell’azienda pari a 45 milioni, sette volte l’ebitda (che era il 42% del fatturato).

Ma nel paniere dei marchi toscani che hanno grande storia o grandi possibilità di sviluppo ci sono anche Lorenzo Villoresi, Aquaflor, Farmacia Santissima Annunziata (esiste dal1561), Acqua dell’Elba, Wally. E ancora la pisana Speziali Laurentiani - che produce su licenza il marchio Bocelli 1831 utilizzando le vinacce ricche di antiossidanti anti-aging della tenuta del tenore a Lajatico - o Sileno Cheloni, “naso” che ha creato un suo marchio di profumi e che insieme al gruppo bergamasco Scient Company ha aperto un’officina per creare fragranze personalizzate a Firenze.

«Gli esempi di aziende toscane che hanno attenzione alle materie prime e fanno prodotti belli e di qualità sono tanti - spiega Lorenzo Parrini, equity partner di Deloitte Financial advisory basato a Firenze - e dunque sono tante le potenzialità che si aprono e grande è l’interesse degli investitori qualificati. Ma la sfida per crescere è legata alla capacità di questi marchi di far diventare il prodotto iconico e di venderlo all’estero trovando i canali distributivi adatti». Su questo fronte il problema ulteriore è quello del management: «Quasi sempre si tratta di piccole aziende - aggiunge Parrini - che non hanno figure dedicate all’internazionalizzazione, e questo rende il percorso più difficile».

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