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Quasi 2 milioni di senzatetto nei Paesi avanzati, in Italia sono oltre 50mila

di Giuliana Licini

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(REUTERS)

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28 gennaio 2020
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3' di lettura

La condizione di senzatetto è la forma più estrema di esclusione sociale. Eppure nei ricchi Paesi industrializzati gli «homeless» sono quasi 2 milioni, pari all’1% della popolazione e si tratta probabilmente di una cifra per difetto, date le difficoltà di censimento e di comparabilità dei dati tra i diversi Paesi, sottolinea l’Ocse in uno studio. Il Paese con il maggiore numero di senzatetto sono gli Usa con 532mila persone, pari allo 0,17% della popolazione. E’ molto più elevata l’incidenza nel Regno Unito, con quasi 58mila nuclei famigliari in Inghilterra (0,26% dei nuclei), poco meno di 10mila in Irlanda del Nord (1,23%) e 36.500 in Scozia (1,5%). In Germania i senzatetto sono 337mila (0,41% della popolazione) e in Francia 141.500 (0,22%) e superano i 100mila anche in Brasile ed Australia. In Italia i senzatetto erano 50.724 (0,08% della popolazione) nel 2014, anno a cui risalgano gli ultimi dati, che riguardano solo i 158 principali comuni dove la loro incidenza era pari allo 0,24% della popolazione. Informazioni, quindi, incomplete e datate. Anche i numeri di Usa e Francia, per altro, si riferiscono solo ai centri maggiori. I volti dei senzatetto sono diversi: è una condizione che in molti Paesi prevale sempre più frequentemente tra le donne, le famiglie con bambini, i giovani, i migranti e gli anziani. I costi personali sono altissimi: i senzatetto muoiono fino a 30 anni prima della media della popolazione e hanno un rischio maggiore di malattie mentali, abuso di sostanze, malattie trasmesse sessualmente e altri problemi. Ma ci sono costi anche per i Governi, nella forma di servizi sanitari, di alloggio, consulenza e di interventi di emergenza, oltre che di giustizia penale. I senzatetto sono aumentati in circa un terzo dei Paesi Ocse negli ultimi anni. In Islanda l’aumento è stato del 168% tra il 2009 e il 2017 (ma a un totale di 349), in Portogallo del 157% tra il 2014 e il 2018 (a 3.400) e in Irlanda del 107% (a 6.200), per quanto in questi Paesi restino al di sotto dello 0,15% della popolazione. Negli Usa sono diminuiti del 15% tra il 2007 e il 2018, ma sono aumentati tra il 2017 e il 2018. Gli homeless sono calati in Norvegia (-40% tra il 2022 e il 206 a 3.900) e Finlandia (-39% tra il 2010 e il 2018 a 5.500), grazie a piani mirati. Hanno registrato, poi, diminuzioni nel numero dei senzatetto l’Austria (-12% nel 2013-2017 a 21.600), il Canada (-14% nel 2010-2016 a 129mila), l’Ungheria, Israele (-11%), la Polonia (-1% nel 2013-19 30.300) e la Svezia (-7% nel 2013-17). Il Paese con la quota minore di senzatetto è il Giappone con lo 0,004% nel 2019 (4.550 homeless).

Le differenze tra i Paesi
Le stime tuttavia nascondono grandi differenze all’interno dei vari Paesi. Negli Usa la metà degli homeless è concentrata in cinque Stati. A Dublino si trova il 66% dei senzatetto irlandesi, ma la città rappresenta solo un quarto della popolazione del Paese. A volte le cifre riguardano solo le persone senza un tetto, altre includono quanti vivono in condizioni precarie o in alloggi per senzatetto. Quella di senzatetto può essere anche una condizione temporanea: in base a una ricerca in Scozia almeno l’8% della popolazione ha sperimentato la «homelessness» a qualche punto della propria vita. In effetti, sottolinea il rapporto, diverse sono le soluzioni possibili a seconda della condizione di senzatetto. Se è temporanea, cioè per un breve periodo (per perdita del lavoro o della casa, separazione o divorzio, ad esempio), la soluzione migliore sta nel fornire un’assistenza finanziaria temporanea in modo da assicurare un alloggio stabile. Se si tratta invece di senzatetto cronici, sono necessari interventi di lungo termine che riguardano alloggio, salute e lavoro. Una delle soluzioni principali – sottolinea tuttavia lo studio – sta nell’investire nella prevenzione, inclusa una politica di alloggi a prezzi più abbordabili. Ma è importante anche raccogliere dati sui senzatetto su basi regolari, integrando le diverse fonti di dati per capire meglio le necessità. Va anche facilitata la collaborazione tra enti governativi a diversi livelli, assieme a enti-non governativi, per sviluppare strategie locali su misure e vanno ovviamente monitorati gli effetti delle strategie per identificare le più efficaci.
(Il Sole 24 Ore Radiocor)

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