di Eugenio Bruno
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Nelle scuole italiane si comincia a respirare un’aria internazionale. Grazie soprattutto agli studenti che decidono di frequentare un anno di studio all’estero. E che sono arrivati a quota 10.200. A dirlo è il rapporto 2019 dell’Osservatorio nazionale sull’internazionalizzazione delle scuole e la mobilità studentesca della Fondazione Intercultura. Che registra una crescita del numero di istituti scolastici coinvolti. Anche al Mezzogiorno. Poche novità invece per i paese di destinazione: in testa ci sono sempre gli Usa, davanti a Spagna e Regno Unito.
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La rilevazione 2019 dell’Osservatorio ha interessato un campione di 400 presidi delle scuole secondarie superiori. Il primo dato è sorprendente: nell'anno scolastico 2018-2019, circa 10.200 studenti (+38% rispetto al 2016, ma soprattutto +191% sul 2009) hanno trascorso almeno tre mesi di studio all’estero. Un fenomeno che ha interessato più di una scuola su due. Con Nord Ovest e il Nord Est che trainano il paese e il Mezzogiorno che recupera terreno. A partire sono soprattutto le ragazze (61%), che provengono in prevalenza dai Licei (74%, +4% dal 2016), ma anche da Istituti Tecnici (30,7%+7%), e Professionali (27%, +12%). Passando alle destinazioni, In vetta restano gli Stati Uniti, seppure in calo (in tre anni sono passati dal 38 al 24%); alle loro spalle, Spagna (11%), Regno Unito (10%) e Canada (7%). Tra le nuove mete spicca la Cina che intercetta l’1% delle scelte. Degna di nota è anche la “freddezza” dei docenti: appena il 46% del corpo insegnante promuove la scelta dei ragazzi. A dimostrazione del fatto che, nonostante i progressi, il lavoro da fare nelle scuole per diffondere una vera cultura dell’internazionalizzazione è ancora lunga.
Ma non è solo la mobilità studentesca a crescere. L’indice di internazionalizzazione nel suo complesso guadagna 2 punti rispetto al 2016 (da 42 a 44) e 7 punti rispetto ai 37 del 2009. Da questo indicatore - che tiene conto anche della mobilità di gruppo (+3% dal 2016), degli stage di studio all'estero (79% vs il 64% di tre anni fa), dei corsi che educhino alla cittadinanza europea (dal 61% all'85%), delle materie insegnate con il metodo Clil (cioè direttamente in un’altra lingua - emerge la riduzione (dal 46% del 2016 all'attuale 33%) degli istituti scolastici con un indice medio-basso e basso di internazionalizzazione.Passando al tipo di istituti, anche stavolta in testa troviamo i Licei e gli Istituti di istruzione superiore ma anche qui Tecnici e Professionali stanno recuperando terreno. Numeri che portano Roberto Ruffino, segretario generale della fondazione Intercultura, a parlare di «risultato importante»: «In solo un decennio - spiega - quasi il 200% di famiglie in più ha deciso di investire nella formazione internazionale dei propri figli, in molti casi grazie a una borsa di studio senza la quale non sarebbero mai partiti per un'esperienza i cui benefici sono tangibili nella crescita personale e scolastica dell'adolescente».
Il rapporto di Intercultura sottolinea in più di un passaggio la centralità delle borse di studio. Senza un sussidio il 78% dei partecipanti ai programmi di mobilità non sarebbe partito. Ma eccolol’identikit dello studente “mobile”: l'86% dei borsisti Intercultura è laureato (una percentuale molto superiore alla media sia nazionale che Ue) e il 79% dichiara di aver sempre trovato o cambiato lavoro con facilità (contro il 45% del gruppo di controllo). Con un effetto di “ascensore sociale” che merita di essere tenuto presente se è vero che il 41% confessa di avere già raggiunto un livello di benessere socio-economico più elevato di quello della famiglia di origine e migliore dei coetanei che non hanno vissuto la stessa esperienza. Promosse infine le aziende sponsor, che ne guadagnano anche in termini di reputazione: il 96% del campione intervistati ritiene che il coinvolgimento delle borse di studio abbia un riflesso positivo o molto positivo sulla reputazione delle aziende coinvolte.
Eugenio Bruno
vice caposervizio
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