di Gianfranco Ursino
(© Zoonar/V Vladimir)
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Oltre 13 miliardi di euro. È questa la cifra che anche quest’anno lo Stato andrà a incassare dalla tassazione delle rendite finanziarie. Un po’ meno dello scorso anno, secondo le proiezioni delle somme fin qui accertate, un gruzzolo comunque consistente anche senza considerare l’imposta di bollo e la tassa di successione che gravano sugli strumenti finanziari.
L’iniquità del sistema tricolore
La tassazione dei risparmi nell’ultimo decennio ha contribuito in misura via via sempre più significativa alle entrate statali. Dal confronto internazionale l’Italia si pone tutto sommato in una posizione intermedia considerando le due aliquote del 12,5-26% sulle rendite finanziarie, almeno sulla carta. In realtà in Italia abbiamo un sistema unico al mondo che colpisce in misura iniqua i redditi di natura finanziaria, che distingue “tra r edditi diversi” e “redditi di capitale” e non permette di compensare sistematicamente i guadagni e le perdite conseguiti con i diversi strumenti finanziari.
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Situazioni paradossali
Un handicap che, di fatto, determina un prelievo effettivo più alto del 26% previsto sui redditi realizzati con la gran parte degli strumenti finanziari e dell’aliquota agevolata del 12,5% prevista sui titoli di Stato ed equiparati. L’incomunicabilità fra “redditi di capitale” (proventi periodici dell’investimento, come interessi e dividendi, ma anche le plusvalenze generate con i fondi comuni ed Etf) e “redditi diversi” (plusvalenze derivanti da differenze positive tra prezzo di vendita e prezzo di acquisto di altri strumenti finanziari) genera situazioni paradossali. Per esempio se il bond stacca cedole o le azioni dividendi, i proventi sono tassati anche se l’investitore nel recente passato ha subìto delle perdite.
E ancora: l’investitore potrebbe essere chiamato a pagare un’imposta su cedola/dividendo nel corso della vita dell’investimento, anche se quando vende lo stesso titolo subisce una cocente perdita. Poi c’è l’astrusità (come altro definirla) sui fondi comuni, che rende impossibile compensare i proventi positivi (considerati redditi di capitale) con eventuali minusvalenze (redditi diversi) realizzate sui medesimi fondi. I redditi di capitale non sono mai compensabili con eventuali perdite (minus) pregresse, mentre i redditi diversi lo sono, ma solo nell’arco dei 4 anni successivi a quello in cui la perdita si è determinata.
Le contromisure
Ogni fine anno, quindi, gli investitori rischiano di veder scadere minusvalenze registrate su negoziazioni effettuate 4 anni prima, mai compensate con plusvalenze. A fine dicembre (anche se dal punto di vista operativo occorre muoversi con settimane di anticipo) scadono le minus subite su operazioni chiuse in perdita nel 2015, un anno caratterizzato da forti turbolenze sui mercati.
Dalle lettere che arrivano a «Plus24» su queste tematiche, emergono varie pratiche - più o meno artigianali - che gli investitori possono mettere in atto per recuperare in extremis le minusvalenze. C’è chi apre posizioni contemporaneamente lunghe e corte sullo stesso sottostante e sulla stessa scadenza con future o opzioni. Una delle due va in profitto e l’altra in perdita. Si chiude quella in profitto, che permette di usare le minus pregresse, mentre la posizione in perdita può tradursi in una nuova minus, il cui recupero è però rinviato di altri 4 anni. Ma queste operazioni richiedono una certa dimestichezza, il rischio è di generare perdite superiori a quelle che si intendono recuperare fiscalmente.
È bene anche ricordare che ai fini del calcolo della plus o minusvalenza, si fa riferimento alla data di regolamento dell’operazione e che plus e minus conseguite nello stesso giorno si compensano fra di loro, senza che siano utilizzabili le “minus” pregresse. Operazioni al limite dell’elusione, che hanno l’obiettivo di “ringiovanire” le minus pregresse. A questi fini gli emittenti propongono specifici certificates e ci sono anche titoli di Stato e bond che si prestano a ottimizzare i portafogli. In ogni caso, occorre evitare di prendere decisioni dettate dall’ansia di recupero delle perdite fiscali, in assenza di logiche economiche.
Gianfranco Ursino
Responsabile Plus24
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