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Il diario, un atto di coraggio

di Gino Ruozzi

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Mettersi a nudo attraverso la scrittura è audace e complicato, richiede energia e tenacia. Come quando Di Consoli prende le distanze dall’ironia: «L’ironia è distanza, è un modo per tenere lontana la vita»

15 novembre 2019
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3' di lettura

La scrittura di un diario è un atto di coraggio, mettersi a nudo è audace e complicato, richiede energia e tenacia, voglia di chiarirsi, prendendo appunti (note più o meno lapidarie e scarne) e raccontandosi. Diario dello smarrimento di Andrea Di Consoli, giornalista e critico letterario, pende più sul lato narrativo della scrittura diaristica, favorito anche dalla concentrazione temporale di due anni di composizione, tra il 2018 e il 2019.

Pertanto accanto alle tracce di vita quotidiana si affiancano in modo consistente ricordi e apologhi, quasi a volere comporre una sintetica autobiografia. I frammenti tendono all’unità e alla coerenza di un ritratto compiuto, di una filosofia e pratica di vita armonica e conseguente, siglata da alcune certezze: in primo luogo le radici lucane, in cui risaltano volti e storie esemplari, modelli di un’origine conquistata dalla natia Zurigo attraverso intrinseche tappe di avvicinamento famigliari, culturali, geografiche.

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Di Consoli si ritrae spesso con i figli che avvicinano e allontanano il tema dominante dell’amore, declinato in molti modi e sempre comunque nell’esigenza di un «calore» condiviso e di una partecipazione intensa e struggente. Di Consoli non attenua ma incrementa, non si ritrae ma affonda i colpi, soffrendo ciò che comunque non è possibile non soffrire: la separazione.

Lo fa pure nei confronti dell’ironia, che sostanzialmente non accetta. Anche in uno degli autori che ama di più del Novecento, lo straordinario poeta di Romagna Raffaello Baldini, egli predilige la voce appassionata e dolorosa del poemetto Dany invece di quella spumeggiante ed esilarante di altre poesie.

«Ho sempre diffidato delle persone ironiche», scrive Di Consoli, «perché l’ironia è distanza, è distacco, è un modo per difendersi e tenere lontana la vita. Ho sempre ammirato invece chi ha saputo andare a fondo senza scudi, senza protezioni, senza riserve, con coin¬volgimento totale. L’ironia mi è sempre parsa una forma di cinismo».

In perfetta continuità perciò egli afferma in modo perentorio e aforistico che «esiste solo una paura, una soltanto – anche la paura della morte è figlia di questa paura più grande: è la paura della solitudine». La solitudine è pertanto l’inferno, la condizione insopportabile, la privazione della dignità dell’esistenza.

Da qui deriva una volontà di sentirsi abbracciati e di abbracciare, di trasmettere appunto «calore». Sono tanti i momenti in cui in una Roma nella quale tutto è periferia, cioè lontananza dal cuore, l'autore stringe con lo sguardo e con parole e gesti di adesione un’umanità tormentata e affratellata dal bisogno di comprensione, affetto, solidarietà. Nel tentativo di colmare ogni sanguinante lacerazione.

Sentimento della vita che si rispecchia e manifesta in coscienza etica ed estetica in uno dei passaggi fondamentali del libro: «Non ho fatto altro che rifiutare ideologicamente la totalità sistematica di Hegel, teorizzando il frammento, la liquidità, la conoscenza negativa, l’assurdità dei fenomeni, la transitorietà di ogni cosa. Eppure mi rendo conto che la mia natura ha sempre aspirato al disegno totalizzante, al sentimento assoluto, a Dio. Per tutta la vita ho parlato virilmente di cocci e invece in testa avevo l’immagine del vaso nella sua interezza».

Lo «smarrimento» di Di Consoli ha dunque davanti a sé possibili risposte e chiarezza di obiettivi, precisi punti di riferimento morali e culturali. E addita importanti prospettive non solo individuali ma collettive.

Diario dello smarrimento
Andrea Di Consoli
Inschibboleth, Roma, pagg. 176, € 15

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