di Chiara Bussi
La collezione Sardinia di Cerasarda, gruppo Romani
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Cara vecchia Europa. È qui, nei Paesi più vicini a noi, che si realizza circa il 60% delle vendite oltreconfine di prodotti in ceramica. Ed è anche qui che nel primo semestre di quest’anno si è registrato l’unico segno positivo delle esportazioni del settore: una crescita del 2,8% a quota 1,369 miliardi di euro che ha fatto da contraltare alla performance meno brillante in altre aree. Se in Italia emergono i primi timidi segnali positivi (+0,1%), il risultato è una leggera flessione dello 0,4% a livello mondiale a quota 2,4 miliardi di euro rispetto allo stesso periodo del 2018, pari all’85% delle vendite totali. «L’export - sottolinea Stefano Bolognesi, presidente della Commissione per le statistiche di Confindustria Ceramica - oltre che un valore è una necessità. Il mercato europeo, seppur maturo e contendibile, continua ad essere centrale per il nostro settore e lo sarà anche nei prossimi anni. In particolare è andata molto bene la Francia, con un incremento dei volumi del 5,8% e del 4,5% del fatturato». E se si somma l’andamento dell’Europa occidentale con quello dei Paesi dell’Est (che da soli registrano -3,5% in valore) il segno è ancora positivo: +2,3% dei ricavi e +2,5% in volumi venduti.
La frenata della locomotiva tedesca per ora non ha fatto sentire i suoi effetti. «In questo Paese - spiega Bolognesi - il settore non ha raggiunto i livelli della Francia, ma le nostre aziende hanno registrato un aumento dei volumi del 2,2% e dell’1,5% dei ricavi». Lo confermano gli imprenditori che ogni giorno operano in quel mercato. Come Vittorio Borelli, ad di Fincibec che realizza all’estero circa il 70% del fatturato. «L’andamento dell’economia tedesca ci preoccupa – dice - ma per ora questa situazione non è visibile dai numeri. Anzi, proprio in Germania, la nostra seconda area di sbocco dopo la Francia, a giugno abbiamo messo a segno un aumento delle esportazioni del 2%. Va detto però che il nostro settore arriva per ultimo nella catena delle costruzioni e questi rischi potrebbero materializzarsi in seguito». Fincibec ha tenuto anche Oltralpe, «dove realizziamo il 15% dei nostri ricavi esteri, così come in Svizzera, Austria, Olanda e Scandinavia». E al momento le turbolenze legate alla possibile uscita del Regno Unito dalla Ue non hanno rallentato l’attività dell’azienda di Sassuolo. «Nel biennio 2017-2018 – spiega Borelli – abbiamo aumentato la nostra quota di mercato sull’outdoor per l’arredo urbano. Certo, i timori per la Brexit ci sono, ma il Paese non ha una produzione locale e deve importare. È dunque probabile che abbia ancora bisogno dei prodotti italiani anche se dovesse consumarsi il divorzio dalla Ue».
I mercati extraeuropei, fa notare Bolognesi, «sono stati invece contrassegnati dalla volatilità in un contesto di esubero dell’offerta rispetto alla domanda che ha provocato forti tensioni sui volumi di vendita e sui prezzi». La difficoltà è tangibile in Asia e Oceania, dove si assiste alla frenata più significativa (-5,3% in valore), «anche per effetto delle incertezze legate ai dazi e agli investimenti». Rallenta l’attività con gli Usa e l’America Latina (si veda l’articolo in basso), mentre l’Africa mostra una contrazione delle vendite del 4,4% (in valore).
Tra i venti di protezionismo e l’economia mondiale che non sta attraversando uno dei suoi momenti migliori l’incertezza è alta, fa notare Alessandra Lanza, senior partner di Prometeia. «Sono entrate in gioco due componenti: una congiunturale legata alle fasi cicliche dell’economia – dice - e una più strutturale che fa più paura. Quello che sta avvenendo è il risultato della fine del multilateralismo che ha comportato lo schieramento di blocchi contrapposti: Usa, Cina, Russia. E un’Unione europea che non sa ancora quale partita giocare». Gli effetti sono diretti sugli scambi commerciali ,che quest’anno la società di consulenza stima in crescita di appena il 3,5% rispetto 4,3% del 2018 e al 5% del 2017. Se poi si aggiungono il rallentamento dell’economia mondiale e il calo della fiducia e dei consumi il quadro complessivo non è molto incoraggiante.
Le difficoltà non mancheranno e in un mercato sempre più agguerrito a fare la differenza sarà ancora una volta la capacità di innovare. Il futuro delle esportazioni passa infatti non solo per vecchi e nuovi mercati, ma anche per nuove tipologie di prodotto. «Come l’outdoor – spiega Borelli - una nicchia in crescita che abbiamo iniziato a sviluppare proprio in Germania circa 5 anni fa e che oggi vale tra il 10 e il 15% del nostro fatturato globale. Le altre tendenze che stanno prendendo piede sono la produzione di grandi formati per rivestimenti di facciate di edifici o per la pavimentazione, così come il segmento dell’arredo». Per battere la concorrenza chi si ferma è perduto.
Chiara Bussi
Redattore
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