Massimo Foschi assiste le case discografiche su incentivi fiscali, patent box e tassazione
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La completa dematerializzazione delle canzoni non solo ha mandato in soffitta il bene fisico (ricordate il compact disc?) ma ha trasformato l’ industria musicale in società di servizi, dopo un periodo ad alto tasso di pirateria sul prodotto.
Con effetti inevitabili sul piano fiscale. Prendiamo l’Iva: sul prodotto fisico è esigibile alla cessione del bene; sul servizio al momento del pagamento. «Una canzone su un supporto è trattata come un bene mobile mentre la musica in streaming è al pari di un servizio», chiarisce Massimo Foschi, commercialista socio di Biscozzi Nobili Piazza e advisor della casa discografica Sugar.
Il mercato discografico ha peculiarità complesse. Prova ne è il controllo fiscale. «I verificatori, abituati a una logica materia prima-ricavi-costi, hanno maggiori difficoltà ad individuare proventi e spese per una casa discografica», spiega il commercialista guardando a società di collecting, diritti connessi e sharing di introiti tra produttore e artista.
L’aggiornamento è indispensabile, anche per essere al passo con le tante leggi di incentivazione fiscale degli ultimi anni. Come la tax credit musica (la 112/2013) che abbatte fino al 30% i costi per le case di produzione su opere prime e seconde, o il patent box, nel cui ambito si possono far rientrare software innovativi generati per questo mercato.
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