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Sorpresa, dalle nuove serie Istat emerge una Italia non più lumaca

di Marco Fortis

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(ANSA)

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4 ottobre 2019
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4' di lettura

Le recenti revisioni delle serie storiche del Pil italiano e delle sue componenti operate dall’Istat non hanno destato particolare attenzione.

Forse perché i commenti si sono soffermati pressoché esclusivamente sulle variazioni di breve periodo relative agli ultimi anni. In realtà, guardando ai nuovi dati in una prospettiva comparata di più lungo termine emergono parecchie sorprese non di poco conto che meritano di essere sottolineate.

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In primo luogo, i nuovi dati mostrano una immagine di una Italia diversa da quella del sentire prevalente, cioè di un Paese “lumaca”, ritenuto dai più eternamente fermo, totalmente incapace di ritrovare gli slanci del passato. Al contrario, negli ultimi anni l’economia italiana ha dimostrato di poter finalmente crescere a tassi significativi, mai sperimentati da almeno tre lustri.

In secondo luogo, le nuove serie Istat a valori concatenati 2015 evidenziano il ruolo cruciale svolto dal settore privato nello spingere la nostra economia nella fase della ripresa 2014-prima metà 2018 e l’efficacia delle politiche economiche adottate per rilanciare la domanda interna privata dopo la crisi di consumi e investimenti determinata dalla doppia recessione 2009 e 2012-13.

In terzo luogo, a livello di settori produttivi risulta chiaro che la ripresa italiana è stata trainata prevalentemente dall’industria manifatturiera e anche dal commercio all’ingrosso e al dettaglio, mentre il settore pubblico, quello delle costruzioni e le banche sono rimasti pressoché fermi o ancora in calo.

Infine, in quarto luogo, gli ultimi anni sono stati caratterizzati da un forte rinnovamento-ammodernamento del nostro sistema produttivo, con una ragguardevole spinta degli investimenti tecnologici e in ricerca e sviluppo, sicché si può affermare che vi è stata non solo una crescita quantitativa ma anche qualitativa del sistema economico italiano.

Dai nuovi dati appare evidente che il triennio 2015-17 (improntato dalle manovre Renzi-Padoan varate nel 2014-16), è stato un periodo di autentico boom per l’economia italiana se confrontato con tutti i precedenti cicli triennali “scorrevoli” a partire dal triennio 2002-04, cioè dal primo triennio caratterizzato dalla circolazione monetaria dell’euro.

In effetti, nel 2015-17, rispetto al 2014, si è registrata la più forte crescita media annua composta dal 2002-04 per diverse componenti fondamentali del Pil, sia dal lato della domanda sia da quello dell’offerta dei settori produttivi. Dal lato della domanda i consumi delle famiglie sono aumentati nel 2015-17 dell’1,5% medio annuo a fronte del precedente record dell’1,3% del triennio 2005-07. Gli investimenti in macchinari e mezzi di trasporto hanno sperimentato nel 2015-17 una crescita media annua record del 6,3% rispetto al precedente 3,6% del 2004-06. Gli investimenti in R&S hanno toccato un picco del 7,2% medio annuo rispetto al 4,4% del 2007-09.

Osservando le serie annue si può capire come questi risultati non siano stati casuali ma conseguenti a precise riforme e misure di politica economica.

I consumi delle famiglie hanno puntualmente toccato un apice di crescita dell’1,9% nel 2015, primo anno di piena erogazione degli 80 euro e di eliminazione della tassa sulla prima casa (5 decimali in più del più forte aumento annuo precedente dei consumi privati che risaliva all’1,4% del 2005).

Gli investimenti in macchinari e mezzi di trasporto hanno toccato una massima crescita annua dell’8,1% nel 2016, anno di partenza del super-ammortamento (con un aumento superiore di quasi due punti percentuali al precedente massimo del 6,3% del 2010, che però fu un rimbalzo dopo il crollo del 14,1% del 2009). Gli investimenti in R&S hanno raggiunto un massimo storico di crescita del 9,2% nel 2015, dopo il consistente ampliamento della platea dei beneficiari e dei massimali di spesa del credito di imposta sulla ricerca deciso dalla legge di stabilità 2015 (polverizzando il precedente record di incremento annuo degli investimenti in R&S del 5,8% del 2008).

Dal lato dei settori produttivi, le nuove serie storiche Istat evidenziano parimenti che il triennio 2015-17 è stato un periodo aureo per l’industria manifatturiera italiana con un incremento medio annuo composto del 3,2% del suo valore aggiunto mai toccato nei precedenti trienni dell’era di circolazione dell’euro. Idem per il valore aggiunto del commercio, cresciuto mediamente nel 2015-17 del 3,7% all’anno.

Si aggiunga che nel triennio 2015-17, in base alle rilevazioni delle forze di lavoro, con le decontribuzioni e il Jobs Act vi è stato il più forte incremento di occupati a tempo indeterminato di cittadinanza italiana da quando esistono le serie storiche (+435 mila rispetto al 2014) e anche di occupati fissi a tempo pieno (+329 mila, sempre rispetto al 2014).

Sintesi di tutto ciò, il Pil pro capite italiano ha raggiunto un tasso medio annuo composto di aumento dell’1,4% nel triennio 2015-17, superiore di ben 6 decimali al precedente massimo dello 0,8% del triennio 2005-07. Rispetto alle precedenti serie storiche l’Istat ha ritoccato all’insù la crescita del Pil per abitante sia del 2016 sia del 2017, rispettivamente da 1,3% a 1,5% e da 1,8% a 1,9%. Per un confronto, nel 2016 e nel 2017 il Pil pro capite medio dei Paesi del G7 è aumentato dello 0,9% e dell’1,7%, cioè meno del nostro.

La lezione dei dati è molto semplice: se si fanno le riforme l’Italia può tornare a crescere; se si bloccano le riforme si torna alla stagnazione.

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