di Gianmarco Ottaviano
(Epa)
3' di lettura
Mentre il mondo continua a seguire con apprensione il conto dei casi di infezione, il nuovo coronavirus è stato ufficialmente battezzato Sars-Cov-2 (e la malattia causata ha ricevuto il nome di Covid-19) in virtù della sua somiglianza genetica con il vecchio coronavirus del 2002-2003 noto come Sars-Cov. Proprio dall’esperienza di inizio secolo è utile partire per cercare di capire gli effetti che l’epidemia in corso potrebbe avere sull’economia cinese e mondiale.
Nel 2003 la crescita cinese subì un netto rallentamento in corrispondenza del picco del contagio, ma si riprese rapidamente una volta passata l’emergenza sanitaria. Lo stesso avvenne per l’influenza aviaria del 2006 e per quella suina del 2009. Nessuno di questi flagelli danneggiò in modo rilevante i mercati globali. Questo spiega perché sul fronte economico la preoccupazione è stata finora relativamente limitata. Il nuovo virus è sì più contagioso, ma anche apparentemente meno letale del suo predecessore. In tutto il Sars-Cov contagiò circa 8mila persone e fece circa 800 vittime: un tasso di mortalità del 10 per cento. Per il Sars-Cov-2 si parla finora di circa 65mila contagi e 1.400 morti: un tasso di mortalità poco superiore al 2 per cento.
Tuttavia le persone non ragionano per percentuali e, più della severità dell’epidemia, quello che sta avendo maggior impatto economico è la reazione all’epidemia. L’impatto negativo più forte si è sentito finora nella provincia di Hubei, dalla cui capitale Wuhan è partito tutto. Le misure di quarantena, imposte dal governo cinese e amplificate dai timori della popolazione, hanno portato molte attività a un’interruzione prolungata o a un notevole rallentamento. A parte i medicinali e le derrate alimentari, ben poche merci si possono muovere tra le città e i paesi della provincia colpita. Parliamo di un’area con una popolazione paragonabile a quella dell’Italia e un peso del 4,5% sul Pil cinese. Pur trattandosi di poco meno di un terzo del peso economico dell’Italia in termini di Pil, la rilevanza della provincia di Hubei non è certo trascurabile.
Turismo, ristorazione, intrattenimento e trasporti sono state le prime vittime del Sars-Cov-2, in Cina come altrove. In Thailandia le proiezioni parlano di un calo di più del 20% del turismo cinese, che equivale a 1,5 miliardi di dollari in meno per l’industria turistica locale. In generale, tutti i settori produttivi che hanno nella Cina un importante cliente o fornitore hanno di che preoccuparsi. Da un lato, ci sono le imprese, come quelle della moda italiana e del lusso che in questi anni hanno beneficiato del crescente potere d’acquisto dei ceti medio-alti cinesi. Dall’altro, c’è la galassia di imprese che ruotano intorno alla cosiddetta Fabbrica Cina. Da questo punto di vista, il rallentamento degli stabilimenti cinesi potrebbe avere effetti sull’intera industria manifatturiera globale.
La stessa città di Wuhan è un centro di produzione di rilevanza mondiale, soprattutto nel settore automobilistico. Gm, Honda e Nissan hanno tutte impianti lì. Bloomberg colloca Wuhan al 13esimo posto nella classifica delle 2mila città cinesi più importanti per le catene globali del valore. La Yangtze Optical Fibre and Cable, che ha una forte presenza locale, è il maggiore produttore mondiale di cavi per la trasmissione dei dati. Secondo l’Economist, circa l’80% dei princìpi attivi dell’industria farmaceutica mondiale viene dalla Cina. Un indicatore emblematico dell’importanza dell’economia cinese per il resto del mondo è il prezzo delle azioni della Foxconn, il colosso taiwanese con una dozzina di fabbriche in Cina che produce telefoni per la Apple. Da quando il mondo si è accorto della minaccia del Sars-Cov-2, il titolo ha perso il 10 per cento.
È per questa centralità della Fabbrica Cina nelle catene globali del valore che un effetto di lungo periodo dell’epidemia potrebbe essere quello di convincere le imprese a ridurre la loro dipendenza da un numero limitato di aree produttive della Cina, diversificando in termini di clienti e fornitori. Studi sulle difficoltà incontrate dalle imprese manifatturiere cinesi durante la precedente epidemia di Sars testimoniano l’importanza di tale diversificazione. In quell’occasione, le importazioni delle imprese cinesi diminuirono in media di circa un decimo quando l’itinerario lungo cui viaggiavano le merci passava per aree colpite dalla Sars, ma si dimezzarono nel caso di imprese poco diversificate in termini di fornitori e itinerari alternativi. Questo si tradusse in un minore aumento dei costi di produzione per le imprese con più alternative.
Da allora, gli investimenti cinesi in infrastrutture hanno rafforzato la resilienza delle imprese locali alle epidemie, facilitandone la diversificazione nell’approvvigionamento globale. Al tempo stesso però, è cresciuta anche la rilevanza delle catene globali del valore e il peso della Cina per i mercati globali è aumentato di quattro volte, passando dal 4 al 16% del Pil globale. L’economia mondiale non è mai stata così pronta ad assorbire uno shock di questo tipo, ma la sua forza potrebbe essere molto maggiore che nel 2003.
Gianmarco Ottaviano
P.I. 00777910159 Dati societari
© Copyright Il Sole 24 Ore Tutti i diritti riservati
Per la tua pubblicità sul sito: 24 Ore System
Informativa sui cookie Privacy policy