di Elena Delfino
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Investire in private equity e venture capital fino a oggi è stata una attività alla portata soprattutto del pubblico di investitori professionali. Questo sia per la quantità di capitale richiesto mediamente, sia per il fatto che si tratta di operazioni con un profilo di rischio più accentuato e poco liquide, nel senso che non è possibile liquidare la propria posizione in ogni momento.
Operazioni come queste infatti prevedono un investimento privato nel capitale di rischio di una società non quotata, a opera tendenzialmente di fondi, che avviene attraverso il finanziamento dell’attività dell’azienda, sotto forma di partecipazione societaria ma anche con contributi manageriali e di intervento sulla corporate governance. I fondi di private equity seguono per alcuni anni la vita delle imprese in cui investono e hanno l’obiettivo di migliorarne le performance per uscire dal capitale, di solito dopo almeno cinque anni, con una plusvalenza.
Il venture capital interviene nello stesso modo ma nella fase iniziale dell’impresa (early stage) o di espansione, finanziandone le fasi di startup o il piano di crescita e partecipando attivamente con le proprie competenze manageriali, di marketing o organizzative. Questo tipo di operazioni negli ultimi anni ha attratto sempre più l’interesse degli investitori orientati a rendimenti con asset class diversi. È vero che i più recenti dati Aifi (Associazione italiana del private equity e del venture capital), elaborati in collaborazione con Pwc Deals e relativi al primo semestre 2019, parlano di una frenata degli investimenti, soprattutto per quanto riguarda il private equity. La raccolta complessiva è infatti scesa del 77%, a 435 milioni di euro. D’altra parte però non mancano i segnali positivi con 166 operazioni portate a termine tra gennaio e giugno (+4%) per un controvalore di 2,518 miliardi di euro, dati inferiori rispetto al 2018 ma meglio del 2017. Positiva è soprattutto la tendenza nel triennio.
A testimoniare il dinamismo di questo tipo di operazioni è il fatto che, a fronte di una diminuzione di quelle che comportano un equity superiore ai 150 milioni, l’ammontare è di 1,9 miliardi investiti (erano 1,4 un anno fa). E infatti, dal punto di vista delle dimensioni delle imprese, prevalgono ancora una volta le aziende con meno di 50 milioni di fatturato, che rappresentano il 77% del numero totale (75% nel primo semestre del 2018). Tiene bene, in assoluto, il venture capital, dove gli investimenti sono saliti del 7% a 103 milioni di euro nei settori hi-tech, finanziario, medicale, retail, biotecnologie.
Elena Delfino
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