di Raoul de Forcade
Danni causati dalla cattive condizioni meteo (Ansa)
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I terminal portuali che segnano -20% di traffico; gli autotrasportatori che registrano una perdita mensile stimata di 10 milioni; gli spedizionieri che perdono, senza contare i maggiori costi, tra i 2,2 e i 2,5 milioni, sempre calcolati su base mensile. Sono i primi numeri della tempesta perfetta che ha stravolto la viabilità della Liguria e, in particolare, i territori di Genova e Savona e gli scali delle due città.
A colpire duramente le imprese e la logistica dell’area non è stata solo la peggiore ondata di maltempo degli ultimi 70 anni, che l’ha flagellata dal 23 novembre scorso fino a metà della settimana seguente (con qualche tregua). Ma anche una serie di concause: uno sciopero del terminal Psa di Pra’ avviato nel momento di maggior crisi della viabilità verso il porto di Genova e la decisione di Autostrade per l’Italia, dietro richiesta della Procura di Genova, di chiudere il 25 novembre, per verificarne l’ammaloramento, i viadotti Fado Nord e Pecetti Sud sulla A26. L’autostrada è stata fermata e poi riaperta il giorno dopo ma con un bypass su una carreggiata e una sola corsia per senso di marcia (i viadotti sono stati riaperti il 6 dicembre ma con prescrizioni di velocità e di distanza per i camion). Il tutto subito dopo due giornate di tregenda per la Liguria, durante le quali numerosi smottamenti hanno minato la viabilità di autostrade e strade provinciali. Fenomeni che hanno toccato l’acme con la frana che ha provocato, il 24 novembre, il crollo del viadotto Madonna del monte sulla A6, con la chiusura totale (in un primo tempo) della tratta autostradale e il successivo ripristino della circolazione, il 2 dicembre, nei due sensi su un’unica carreggiata (quella Sud).
Ulteriori smottamenti, intanto, avevano compromesso, nel Savonese, la viabilità della strada del Colle di Cadibona. E anche la A10 è stata colpita da una frana, nei pressi del casello di Arenzano. A tracciare un quadro efficace della situazione, raccontando quanto il sistema portuale ne soffra, è Paolo Signorini, presidente dell’Autorità di sistema di Genova e Savona. «Cinque autostrade servono i due scali: l’A10, l’A6, l’A26, l’A7 e l’A12. E l’85% della merce in arrivo e in partenza nei due porti è movimentata con camion. Ora la situazione è questa: l’A10 è gravemente condizionata da cantieri, che sono dovuti a manutenzione ed eventi legati al maltempo; la A6 ha subito il crollo di un viadotto (e anche la viabilità la carreggiata funzionante è sub iudice, in caso di allerta rossa o arancione, ndr); la A26 ha avuto il bypass per i viadotti Fado e Pecetti (e ora i mezzi pesanti marciano con prescrizioni e ci sono lavori di nautenzione sul Fado Nord, ndr); la A7 è interessata da controlli sui viadotti e subisce grossi lavori di manutenzione straordinaria che hanno, tra l’altro, portato a fortissime limitazioni sul trasporto su camion dei container fuori sagoma. Sulla A12, infine, ci sono cantieri» e altri viadotti sotto osservazione. Insomma, dice Signorini, «dobbiamo gestire uno stato di emergenza strutturale. E se il crollo del Morandi ha mangiato tutto l’aumento del traffico merci che Genova aveva accumulato nel 2018, l’attuale situazione della viabilità può costare alle banchine fino a 5 punti percentuali di minore crescita».
Giampaolo Botta, direttore generale di Spediporto (gli spedizionieri genovesi) sottolinea che «la situazione è difficile da gestire, perché la pianificazione dei carichi è stata completamente rivoluzionata, in funzione dei continui stop and go verificatisi per via della riduzione degli accessi stradali. Poi abbiamo grosse preoccupazioni di tenuta per i prossimi mesi, perché purtroppo, fino a quando non avremo una sorta di check-up completo dello stato di tutti i viadotti che incidono sul traffico portuale, c’è sempre l’incognita della continuità di servizio. Stiamo lavorando insieme ai terminalisti per riprogrammare giorno su giorno, settimana su settimana, la presenza di personale che possa assistere l’autotrasporto. Ma tutti questi sforzi si traducono in maggiori costi e minori profitti, che le aziende cercano di assorbire e di non ribaltare sul mercato. E così si azzerano le marginalità che già erano state ridotte dopo il Morandi. Dal crollo del ponte a oggi le perdite sulle spedizioni, esclusi i maggiori costi, sono di 2,2 - 2,5 milioni al mese».
Con l’attuale situazione di viabilità, afferma Giuseppe Tagnocchetti, coordinatore di Trasportounito in Liguria, «stimiamo una perdita di circa 10 milioni al mese, che rileviamo sulla base delle due ore, per tratta autostradale, che un autotrasportatore va a perdere. Questo crea extracosti che non si riescono a coprire e provoca al settore problemi economici e finanziari. Il modello per far fronte al fattore economico sarà, immagino, il ristoro, come è accaduto per il Morandi. Però abbiamo anche il problema finanziario della liquidità immediata. E qui ci sarebbe lo spazio perché la merce e gli operatori genovesi sostenessero l’autotrasporto o aumentando le tariffe o con un surcharge. Ma anche a fronte di aiuti economici e finanziari, una ridotta capacità produttiva dell’autotrasporto, vuol dire ridotta capacità di consegna in porto. Quindi, o recuperiamo le arterie stradali o il porto non ce la fa». Intanto anche i terminalisti soffrono: «Se dovessi dare una percentuale media delle perdite dei terminal genovesi a causa dell’attuale viabilità – afferma Alessandro Ferrari, direttore di Assiterminal – direi che c’è un -20% di traffico ed è il container che sta perdendo di più».
I presidente di Confindustria Genova, Giovanni Mondini, giudica la situazione della viabilità «molto critica. La speranza è che si possa tornare il più presto possibile alla normalità. Ma la normalità totale forse non la vedremo nei prossimi anni; perché, se non si potrà intervenire subito con lavori straordinari, ci saranno sempre precauzioni da prendere, come quelle della doppia carreggiata in più tratti. Eppure la carenza infrastrutturale in Liguria viene denunciata da anni. A questo punto bisogna mettere in atto piani emergenziali, di pari passo, sia sulla gestione dell’esistente, sia sullo sblocco di nuove infrastrutture. Ora va fatto tutto, nel più breve tempo possibile: dalla Gronda di Ponente, al tunnel della Fontanabuona, dal raddoppio del tratto ancora monobinario della ferrovia di Ventimiglia, alla prosecuzione del Terzo valico, cioè il tratto dalla piana di Novi a Milano».
La Gronda di Genova, prosegue Mondini, «è ostaggio di una decisione del Governo, che oggi ancora tutti attendiamo, riguardo alle concessioni ad Autostrade. Si può capire ma non accettare: non possiamo più permettercelo; e quindi, che si prendano delle decisioni. Altrimenti si andrà verso perdite, al momento non quantificabili, ma sicuramente più importanti di quelle che si erano avute nei 3-6 mesi successivi alla caduta del Morandi: stavolta saranno più rilevanti e dureranno di più, se non si torna alla normalità. Il ritardo cronico nella dotazione infrastrutturale non fa altro che generare disagi e costi, anche indiretti, perché si perdono Pil e posti di lavoro. E non lo si vuol capire».
Raoul de Forcade
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