di S.Bel.
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Nuove tegole si abbattono sui titoli petroliferi, già penalizzati in Borsa al punto che il comparto è quello che registra le peggiori performance da 10 anni a Wall Street.
Redburn, società di ricerca indipendente, ha declassato in un colpo solo tutte le maggiori compagnie integrate, rimuovendo ogni giudizio «buy»: una mossa insolitamente drastica, motivata con l’osservazione che Big Oil correrebbe «un rischio esistenziale» a causa della lotta contro il cambiamento climatico.
L’effetto delle misure adottate (e di quelle più severe che si renderanno necessarie per rispettare gli accordi di Parigi) è sottovalutato secondo Redburn, convinta che la domanda di petrolio potrebbe raggiungere un picco entro cinque anni e che le attuali previsioni di lungo periodo andrebbero tagliate di almeno il 30%.
Per ExxonMobil, la maggiore compagnia Usa, appena uscita dalla Top 10 delle società quotate a New York, il rating è stato addirittura portato da «buy» a «sell» in una sola volta. Anche per Royal Dutch Shell e per Repsol il consiglio diventa «vendere», mentre su Bp, Eni e Omv Redburn adesso è «neutral».
Un altro rapporto – pubblicato ieri da Carbon Tracker, che si è guadagnata autorevolezza negli ambienti della finanza verde – stima che nel 2018 Big Oil abbia investito altri 50 miliardi di dollari in progetti che compromettono gli obiettivi sul climate change e che entro il 2030 potrebbe ritrovarsi con «stranded assets» (attivi non recuperabili) per 2.200 miliardi.
Sissi Bellomo
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