di Michele Boldrin
4' di lettura
Il sistema economico italiano è solido e tecnologicamente avanzato così come lo sono i servizi pubblici, l'apparato statale in genere. La tassazione, specialmente su casa e microimprese, è elevata a causa delle politiche di austerità introdotte da Monti in obbedienza alla Troika. Il nostro sistema scolastico costituisce un vanto particolare: il livello culturale del popolo italiano è fra i più alti al mondo (conseguenza del nostro essere eredi naturali sia della civiltà greco-romana che di quella rinascimentale) e la nostra forza lavoro è fra le più preparate e sofisticate.
Oltre che dall'adattabilità delle nostre imprese esportatrici – piccole e micro in particolare: le “partite Iva” sono l'invidia di tutta l'Europa per la loro produttività e creatività – la conferma viene anche dai successi degli italiani emigrati, in numero crescente, verso paesi altrimenti arretrati come Usa, Regno Unito, Germania e financo Spagna e Cina.
Ma questo ricco paese, potenzialmente capace di grandi exploit, oggi cresce meno del dovuto a causa delle erronee politiche economiche imposteci decenni orsono a seguito dell'adesione all'Unione europea, all’euro ed alla globalizzazione del commercio secono le procedure Wto. Tali politiche (i) hanno avuto effetti deleteri sulle nostre esportazioni (che in percentuale del Pil son cresciute di soli 9 punti negli ultimi dieci anni); (ii) han fatto arrivare milioni di immigranti, inutili alla luce della nostra struttura demografica (generando disoccupazione giovanile, bassi salari ed emigrazione del lavoro italiano qualificato) e, (iii) impediscono da quasi un decennio allo Stato italiano di indebitarsi per finanziare la domanda interna di cui le nostre micro-imprese, così produttive, hanno bisogno per crescere e competere con le multinazionali estere.
Questo fattore è oggi il più penalizzante: a fronte della ricchezza delle famiglie italiane (appartamenti, villette, capannoni e debito pubblico) il debito pubblico è sia basso che sostenibile come prova l'esempio giapponese. Basterebbe che le egoiste economie del Nord Europa assicurassero quei 2000 miliardi di nostro debito per eliminare lo spread sui tassi, come insigni “economisti” hanno provato anche su queste colonne. Lo stato può e deve indebitarsi con i risparmiatori italiani per eliminare le sacche di povertà che le politiche europee hanno creato, per permettere ai neosessantenni di liberarsi dal lavoro … Mi fermo qui, credo d'aver reso l'idea e non vorrei abusare l'ironia del lettore.
Questa narrativa (internamente contraddittoria oltre che negata quotidianamente da fatti, statistiche ed analisi storiche, per non menzionare il buonsenso) domina da almeno un decennio – in realtà dagli infausti anni 80 del Caf– tutti i maggiori canali d'informazione italiani, nessuno escluso. Essa è diventata il modello del mondo con cui la stragrande maggioranza degli italiani (di ogni appartenenza ideologica) interpreta gli eventi economici e politici, con le conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti ma di cui è proibito parlare perché poco patriottico.
Questo falso modello del mondo non è frutto di complotti orditi altrove ma il prodotto organico del sistema informativo e culturale italiano. Dalle aule universitarie ai talk show televisivi abbiamo assistito ad una rinuncia di massa all'indipendenza intellettuale e all'adozione della fantasia predicata da questo o quell'altro avventuriero della politica come verità storica. Le voci critiche e dissenzienti sono state progressivamente messe all'angolo del dibattito intellettuale, sino a sparire quasi completamente negli ultimi anni.
A partire dagli anni 80, questo meccanismo si è auto-alimentato sino a condurci, oggi, in un cul-de-sac da cui sembra possibile uscire solo con uno strappo radicale con il passato. La domanda cruciale è: lo strappo sarà con Ue-euro-Wto o con la narrativa che, da 40 anni, giustifica e supporta le politiche che ci hanno condotto a questa situazione?
L'impegno civile degli “intellettuali” – nel senso in cui Antonio Gramsci usò per primo quel termine: coloro che svolgono un lavoro che richieda capacità cognitive e conoscenze tecniche superiori alla media – si misura oggi nella risposta che ognuno di noi dà a questa domanda. Essa definisce i termini di uno scontro epocale per la nostra nazione.
I fatti, le statistiche, l'analisi storica, economica e sociologica cosa suggeriscono? Il declino italiano è frutto delle scelte politiche che ho sintetizzato nella triade “Ue+euro+Wto” o è invece il prodotto di una arretratezza secolare che avemmo l'opportunità di eliminare tra gli anni 60 e gli 80 ma che invece si scelse di mantenere e, a partire dal 2008, financo accentuare? Vogliamo continuare – per interessi personali o di bottega, per ideologia o per la ricerca di una qualche poltroncina – ad alimentare la storiella del ricco Paese vittima dello straniero? O vogliamo, invece, correre il rischio di raccontare le cose come stanno, scommettendo sul fatto che la maggioranza degli italiani SE informati adeguatamente, saran capaci di provare, nei fatti e non nelle chiacchiere, di poter diventare gli eredi di quegli abitanti della Penisola che, circa mille anni fa, piantarono le radici del Rinascimento?
Detto con uno slogan, quanta parte dell’élite intellettuale italiana riuscirà, negli anni che verranno, a liberarsi dalle illusioni per andare oltre lo stato di cose presenti?
Joseph G. Hoyt Distinguished University Professor of Economics
Washington University in Saint Louis; Research Fellow Università Ca' Foscari di Venezia e Cepr di Londra
P.I. 00777910159 Dati societari
© Copyright Il Sole 24 Ore Tutti i diritti riservati
Per la tua pubblicità sul sito: 24 Ore System
Informativa sui cookie Privacy policy