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I problemi della lira turca e le mosse di Erdogan

di Marcello Minenna

Lira a picco, Erdogan caccia governatore Banca centrale

Alla base delle ricorrenti crisi turche vi è la strutturale fragilità del saldo delle partite correnti. Ed è stato così anche stavolta.

16 novembre 2020
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5' di lettura

Non c'è pace per la Turchia e la sua moneta. Dopo le crisi valutarie dell'estate 2018 e della primavera 2019, anche quest'anno la lira è stata al centro di una forte correzione di valore. Le prime avvisaglie si sono avute tra marzo e maggio in concomitanza con l’esplosione dei contagi in Occidente e il connesso rafforzamento del dollaro. Poi qualche mese di relativa calma e, da agosto, una nuova forte spinta ribassista. Complessivamente, nei primi dieci mesi del 2020 la lira si è deprezzata di quasi il 30% rispetto al dollaro, qualificandosi tra le peggiori valute dei paesi emergenti insieme al real brasiliano.

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Dopo l'ultimo strappo nella seconda metà del mese scorso, a inizio novembre il Presidente Erdogan è corso ai ripari, licenziando il governatore della banca centrale (Central Bank of the Republic of Turkey o CBRT) che lui stesso aveva insediato solo 16 mesi prima dopo aver rimosso il suo predecessore. Appena due giorni dopo, il Ministro delle Finanze turco (nonché genero di Erdogan) – che aveva cercato di contenere l'accesso degli investitori stranieri al mercato monetario domestico – ha rimesso l'incarico per dichiarati motivi di salute.

Il repentino cambio ai vertici delle due principali istituzioni finanziarie del paese ha favorito il rafforzamento della divisa turca che nell'ultima settimana si è rivalutata del 10% rispetto al biglietto verde. Ad entusiasmare gli operatori è stata la decisione con cui mercoledì 11 novembre il regulator bancario ha ammorbidito le restrizioni al trading su swap di valuta (currency swaps) e altri derivati che le banche locali possono stipulare con controparti estere. La decisione – che agevola per gli investitori stranieri la possibilità di vendere lire allo scoperto – è arrivata all'indomani delle dichiarazioni di Erdogan in favore di un rinnovato impegno ad aderire alle regole del mercato libero, dopo i ripetuti episodi di misure estreme da parte delle istituzioni turche proprio per difendere il cambio.

In settimana sono arrivate anche le prime dichiarazioni del neo-governatore della CBRT, il quale si è detto intenzionato ad usare tutti gli strumenti disponibili per tenere sotto controllo l'inflazione, tornata stabilmente sopra l'11% negli ultimi mesi. Probabilmente i tassi di interesse verranno alzati già nel Comitato Monetario del prossimo 19 novembre. Secondo diversi analisti servirebbe un aumento di 500 punti base per convincere gli investitori a tenere depositi o altri assets denominati in lire e arginare la fuga dei capitali (oltre 13 miliardi di dollari da inizio anno solo su bond e azioni).Del resto non sarebbe la prima volta che la CBRT interviene pesantemente sui tassi. Nel 2018 aveva triplicato il tasso di riferimento (quello sulle operazioni pronti contro termine – repo – a una settimana) nell'arco di 6 mesi, e nel 2019 lo aveva dimezzato sempre nel giro di un pochi mesi. In ogni caso, è difficile che misure così drastiche da sole bastino a garantire una durevole stabilità economico-finanziaria.

Alla base delle ricorrenti crisi turche vi è la strutturale fragilità del saldo delle partite correnti. Ed è stato così anche stavolta. Dopo una breve ripresa nel terzo trimestre del 2019, il saldo mensile è tornato in negativo nell'ultimo scorcio dello scorso anno. Il quadro commerciale si è ulteriormente deteriorato nel 2020, per via del crollo nell'export legato alle misure di contenimento del Covid-19 e del riposizionamento di portafoglio degli investitori domestici verso l'oro (cfr. Figura).

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Queste dinamiche rendono necessario recuperare competitività e, quindi, si traducono in una pressione alla svalutazione della lira che si somma a quella originata dall'allontanamento dei capitali. A sua volta il crollo del cambio impatta sullo scenario inflattivo del paese su cui già pesa la forte crescita del credito voluta da Erdogan per sostenere l'economia (+45% negli ultimi 12 mesi).

In questa prospettiva si capisce anche perché, nonostante il mix inflazione-svalutazione, la CBRT abbia aspettato fino al 20 agosto per alzare i tassi d'interesse. Nel frattempo, per difendere il cambio ha preferito attingere alle riserve valutarie e rivolgersi – come già fatto in passato – alle banche statali per congelare la liquidità in lire sul mercato offshore in modo da disincentivare le vendite allo scoperto di moneta domestica da parte degli operatori esteri. L'ultimo episodio risale allo scorso 4 agosto quando, a causa della massiccia vendita di dollari da parte degli istituti di credito statali, il costo implicito overnight delle lire è schizzato oltre il 1010% nell'intraday, impedendo agli investitori esteri di fare funding in valuta turca per regolare le posizioni in vendita assunte nelle giornate precedenti. La mossa in pratica non è servita a nulla e già il giorno dopo il cambio ha superato la soglia psicologica di 7 lire per 1 dollaro.

Queste strategie di difesa del cambio sono state estremamente onerose in termini di erosione delle riserve valutarie che da febbraio a settembre si sono più che dimezzate, con un calo pari a 39 miliardi di dollari compensato solo in parte dai massicci acquisti di oro e dal conseguente aumento delle riserve auree (+11 miliardi di dollari).Peraltro, il dato sulle riserve ufficiali della CBRT è “abbellito” dagli swap in valuta posti in essere con le banche domestiche e con alcune banche centrali amiche come quelle di Cina e Qatar. Si tratta di un'operatività a cui la banca centrale turca aveva già fatto ricorso nel 2019, ma i dati aggiornati permettono di apprezzare un'intensificazione di queste transazioni (cfr. Figura).

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A settembre 2020 il controvalore cumulato di questi swap superava i 57 miliardi di dollari (+30 rispetto a quello di inizio anno). Il balzo più significativo si è registrato lo scorso maggio quando la CBRT ha triplicato il tetto massimo della linea emergenziale di liquidità in dollari con la banca centrale del Qatar portandola a 15 miliardi di dollari. Nel frattempo sono aumentati anche gli swap in valuta con gli istituti domestici sia per controvalore che per durata.

Per effetto di questa operatività, il cuneo tra le riserve ufficiali lorde e quelle nette della CBRT si è allargato sensibilmente negli ultimi mesi e addirittura – trascurando il contributo delle riserve auree – si può stimare che il valore netto delle riserve valutarie sia negativo per almeno 20 miliardi di dollari (cfr. Figura).

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Tutto ciò pone un evidente problema di sostenibilità del debito estero a breve della Turchia, il cui valore (circa 130 miliardi di dollari) risulta ormai superiore di oltre 6 volte rispetto a quello delle riserve ufficiali effettivamente disponibili. Questa sproporzione tra le due grandezze rappresenta un fattore di attenzione per gli investitori stranieri dal momento che le riserve sono la principale garanzia che il paese sarà in grado di onorare il proprio debito estero.

In più la situazione finanziaria turca risente inevitabilmente degli sviluppi sul piano geo-politico, dove Erdogan quest'anno ha mantenuto una condotta frontale nell'interazione con Cipro e la Grecia e ha anche aperto un nuovo fronte con la Francia di Macron. Nelle ultime settimane l'escalation delle tensioni con l'Europa ha spinto la Commissione Europea a minacciare sanzioni che andrebbero a colpire viaggi e turismo della Turchia con ripercussioni negative sul suo saldo commerciale.

Intanto – anche se per ora l'emergenza sanitaria dovuta alla pandemia sembra sotto controllo – l'economia turca appare destinata ad archiviare il 2020 con una contrazione del PIL che, secondo le stime del Fondo Monetario Internazionale, potrebbe arrivare al -5%. Sebbene anche il resto del mondo (salvo qualche eccezione) condividerà una sorte simile se non peggiore, sicuramente questo risultato non farà piacere a Erdogan che con metodi non sempre ortodossi ha garantito al paese anni di crescita pressoché ininterrotta. Appena un anno fa, aveva dichiarato di puntare a un target di +5% per il 2020. Ora forse il suo obiettivo sarà raggiunto. Ma col segno meno davanti.

@MarcelloMinenna

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