di Gianluca Di Donfrancesco
Il presidente cinese Xi Jinping durante la sessione conclusiva del Congresso nazionale del popolo
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Come da copione, Pechino tira dritto: nella sua giornata conclusiva, il Congresso nazionale del popolo ha dato il via libera all’adozione della legge sulla sicurezza nazionale di Hong Kong. Come da copione, la votazione è stata “quasi” unanime: 2.878 delegati si sono espressi a favore, uno contrario e sei astenuti.
E come da copione cadono nel nulla le proteste nella ex colonia britannica, che si era già mobilitata domenica 24 maggio, all’annuncio della discussione del provvedimento che permette a Pechino di agire sul territorio della regione speciale con propri reparti speciali per dare la caccia a separatisti, sovversivi, terroristi e agitatori stranieri.
Il movimento per la democrazia di Hong Kong si è immediatamente messo in moto, sperando di ripetere la vittoriosa protesta della scorsa estate, quando riuscì a bloccare l’adozione di una legge voluta da Pechino per permetterle di estradare in Cina, e di processare nei suoi tribunali, i sospetti criminali.
Mercoledì 27 maggio, studenti e impiegati sono tornati in piazza, fronteggiando il massiccio spiegamento di sicurezza: oltre 600 persone sono state arrestate in pochi giorni.
I contenuti del provvedimento saranno definiti nei prossimi mesi, a quel punto il Parlamentino di Hong Kong dovrebbe recepirlo nel proprio ordinamento. Ma Pechino potrebbe anche fare in modo di aggirare questo passaggio, formale ma difficile, temendo settimane di disordini e contestazioni che danneggerebbero sempre di più la già indebolita immagine dell’hub finanziario.
Il segretario di Stato Usa, Mike Pompeo, ha già dichiarato che Hong Kong ha perso i requisiti per essere considerata autonoma dalla Cina. A questo punto, Washington potrebbe revocare il trattamento speciale che le riserva e che la esenta dai dazi imposti alla madre patria.
L’indice Hang Seng ha perso lo 0,72%. Venerdì aveva lasciato sul terreno il 5,6%.
Mercoledì, il Parlamentino di Hong Kong ha approvato una legge che punisce con il carcere fino a tre anni e oltre 6mila dollari di multa chi insulta l’inno nazionale cinese, rendendone al tempo stesso obbligatorio l’insegnamento nelle scuole.
Gianluca Di Donfrancesco
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