di Grazia Lissi
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Un maestro nella leggenda della lirica e Giuseppe Verdi per un gioco d'intesa inequivocabile. Basta ascoltare Sir Antonio Pappano ogni volta che sale sul podio. Per tutti i fan verdiani, per chi ama il direttore britannico con cittadinanza italiana, è in uscita per Sony Classical International “Verdi: Otello” protagonista Jonas Kaufmann nel ruolo del titolo, Federica Lombardi è Desdemona, Carlos Alvarez Iago, Orchestra dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Capace di scovare infinite coloriture, una direzione sensibile e intelligente, Antonio Pappano di nuovo ci regala un Verdi inatteso e splendido.
Maestro, quando ha ascoltato Otello per la prima volta?
«Quarant'anni fa, mio padre sognava di poterlo cantare e io, al pianoforte, lo accompagnavo interpretando sia Iago sia Desdemona. Ho rincontrato “Otello” a Chicago, ne ho diretto le prove con Placido Domingo. Nel 1994, a Bruxelles, l'ho riproposto ma in forma di concerto, Giuseppe Giacomini era Otello, Barbara Frittoli Desdemona. Un esordio fortunato, con Giacomini ho capito il ritmo della parola, a basare i tempi sulla scorrevolezza della lingua italiana. L'ho diretto più volte al Covent Garden e altrove. Fra me e il capolavoro verdiano c'è una lunga storia, un legame profondo, è un'opera essenziale».
E' la prima incisone che vede Kaufmann nel ruolo del titolo...
«Il tenore ha cantato Otello con me a Londra, poi a Monaco. E' fedele alle indicazioni verdiane, quando il compositore scrive “pianissimo” Kaufmann lo segue, è raro trovare un artista così attento ai dettagli. Lavorare con lui è un piacere e una sfida. Federica Lombardi ha una voce bellissima, naturale, è una ragazza genuina e autentica, questo si avverte anche quando canta. Alvarez è un grande artista».
Ha inciso l'album con l'Orchestra dell'Accademia Santa Cecilia di Roma...
«Sono direttore stabile Londra, lì dirigo spesso opere italiane, volevo una mia fotografia sonora italiana, per questo ho voluto Santa Cecilia. Questa musica è stata scritta nel Bel Paese, un percorso lungo che parte da Jacopo Peri, Monteverdi tocca Rossini, Bellini, Donizetti e continua».
Jan Kott definisce Shakespeare “nostro contemporaneo”. Secondo lei, possiamo dirlo anche di Verdi?
«Tutti i grandi artisti, quale sia la loro espressività, sono contemporanei perché hanno un messaggio universale che continua nel tempo. Otello, il grande guerriero, è fragile e cade nelle mani di Iago: gelosia, stanchezza, il trauma della guerra, il razzismo che avvolgono l'opera sono temi di assoluta attualità. Verdi, come Shakespeare, ha sempre qualcosa da dire sulla società d'oggi, dobbiamo interpretarlo».
Lei è cresciuto fra Londra e l'Italia...
«Un miscuglio di culture, aggiungo anche l'americana, mi ha reso forse più confuso, sicuramente più complesso. Ogni Paese ha una sua identità precisa, in Inghilterra si sente l'amore per il teatro e la musica, la cultura dell'amateur è molto presente, sono così numerosi gli appassionati di opere, concerti. In Italia la cultura è secolare, imponente; la bellezza viene dal passato. E poi c'è la cultura dell'emigrante, che ho vissuto in casa, fatta di semplicità, povertà, di valori come la famiglia, il restare uniti. In America ho conosciuto l'importanza della professionalità, con grinta e tenacia puoi arrivare ovunque, tutto è possibile se t'impegni».
Con Santa Cecilia viaggia molto; quali differenze trova fra i pubblici internazionali?
«Nei tedeschi la concentrazione, la conoscenza del repertorio mi riempie di ammirazione. Quando dirigo a Londra la maggior parte degli spettatori vive fuori città, gli appalusi sono intensi e brevi, tutti devono correre a prendere treno, autobus per tornare a casa. A Vienna non ti vogliono lasciar andare, in Russia e nei paesi dell'Est c'è fervore, sacralità nell'ascolto. Gli italiani? I più calorosi».
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