di Alessandro Rimassa
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Come cambierà il lavoro nel 2021? Che ruolo avranno gli uffici? Come gestiremo l'organizzazione e la relazione con i dipendenti? Come cambierà l'esperienza di lavoro?
Cosa rimarrà online e cosa invece tornerà a svolgersi prepotentemente dal vivo?
Queste le domande che hanno riecheggiato in molte riunioni di fine anno, tra dubbi su pandemia e post Covid e necessità di avere qualche certezza. Ma la certezza è una: il lavoro come lo abbiamo vissuto fino a inizio 2020 non c'è né ci sarà più, quello che abbiamo sperimentato, forzatamente, nel corso dell'anno sarà di ispirazione per creare quel o quei new ways of working che segneranno il futuro.
In mezzo, il 2021.
Sarà l'anno delle sfide, delle sperimentazioni, del mettersi alla prova: per chi le aziende le guida, per i dipartimenti HR (quanto lavoro c'è da fare per dare un futuro da protagonista a questo ruolo!), per tutte le persone alla ricerca della giusta produttività e del proprio personale life balance.
L'obiettivo, per tutti, è comune: creare un nuovo modo di lavorare che sia davvero smart, riuscendo a coniugare il binomio productive&human.
Secondo Ashley Whillans, professoressa alla Harvard Business School, la formula del lavoro dalle 9 alle 5 diventerà invece un 3-2-2: tre giorni in ufficio, due a casa, due di totale disconnessione. Una ricerca del McKinsey Global Institute del novembre 2020, più del 20% della forza lavoro potrebbe lavorare da tre a cinque giorni alla settimana da remoto in maniera efficiente. Tuttavia c'è un limite sopra il quale si comincia a perdere in produttività, dipendente dal tipo di attività e dai mezzi tecnologici a disposizione delle persone. Per esempio nel Regno Unito i lavoratori potrebbero trascorrere un teorico massimo del 46% del loro tempo lavorando da remoto, negli Stati Uniti il 39% e in India solo il 16%.
Questi dati fanno emergere due problemi: il primo, che l'80% della popolazione mondiale fa lavori che in teoria non possono essere fatti da remoto; il secondo è che anche chi può lavorare da casa ha bisogno di momenti in ufficio per mantenere alta la produttività.
A questi due dati di fatto corrispondono due sfide: ridisegnare i lavori anche più tradizionali in modo che possano essere fatti in parte da remoto e ridisegnare gli uffici come spazi di collaborazione.
Gli uffici potranno essere riprogettati come luoghi in cui fare esperienze e come spazi di creatività e innovazione. Potranno anche non essere più nelle grandi città, o anche paradossalmente non essere fissi. Ma il fattore che determinerà l'utilità degli uffici è la capacità di essere luoghi di incontro e di brainstorming, disegnati da UX designer per favorire al massimo la creatività.
Progettare il lavoro per permettere alle persone non soltanto di essere produttive, ma di stare bene, coscienti del fatto che quello “stare bene” è diverso per ognuno di noi.
L'azienda intesa come comunità di persone - concetto che ci riporta alla costruzione d'impresa di Adriano Olivetti - è tornata più che attuale durante il primo faticoso lockdown del 2020, quando la salute, anche mentale, delle persone è diventata priorità di molte imprese. A dire il vero il wellbeing era un tema già parecchio dibattuto anche l'anno precedente, nell'idea che l'azienda non ti dia solo lavoro e stipendio ma ti accompagni anche in maniera più ampia.
Con il 2021, caring e wellbeing diventano parte della capacità di attraction e retention delle imprese, che devono allora affrontare questa sfida partendo dall'ascolto delle proprie persone. Vanno analizzate le richieste e osservati i comportamenti, compreso cosa li fa stare male e cosa invece fanno senza problemi e poi progettare i lavori su misura, come un abito di sartoria. Le aziende che lo faranno prima di altre avranno un grande vantaggio sulla capacità di portare a bordo i talenti e migliorare, attraverso le persone, i risultati di business.
Nel 2020 si è parlato tanto di servant leadership, di quanto sia importante che i leader si mettano al servizio delle loro persone, le ascoltino e chiedano loro come possono aiutarle a stare meglio. Secondo l'Harvard Business Review, il 2021 sarà l'anno della compassionate leadership, una leadership che si fonda su compassione e saggezza. La compassione è, in campo professionale, l'avere intenzioni positive e una reale preoccupazione per gli altri.
Personalmente ritengo che sia più opportuno parlare di Empathic Leadership, con l'obiettivo di immedesimarsi davvero nelle persone che si guidano, nel comprenderne bisogni e desideri e potenzialità, nell'aiutarle a crescere continuamente.
L'empatia crea connessioni più forti tra le persone, migliora la collaborazione, aumenta la fiducia e la lealtà. E soprattutto è ascolto continuo, ovvero permette di ottenere una profonda comprensione dei motivatori delle persone, che sono il punto centrale per mettere ognuno nelle condizioni di dare il proprio meglio raggiungendo allo stesso tempo il proprio fulfillment - o felicità - professionale.
Durante la pandemia, i team hanno dimostrato di essere il cuore della resilienza delle aziende. In gruppo si impara, si fa innovazione, si crea, ci si motiva e ci si adatta più velocemente ai cambiamenti.
La sfida, allora, che possiamo affrontare nel 2021 secondo lo Human Capital Trend di Deloitte è costruire “superteam” che affianchino le persone alla tecnologia. L'intelligenza artificiale può diventare un valido alleato per riprogettare il lavoro in modi più umani, lasciando alle macchine le mansioni più operative e ripetitive ed esaltando così competenze e creatività delle persone.
I tre principali fattori che supporteranno questa trasformazione sono una company culture fondata sulla resilienza, upskilling e reskilling costante, tecnologia user-friendly.
Senza investire su formazione, cultura e tecnologia, insomma, non è possibile immaginare superteam efficaci (ma, probabilmente, non è proprio più possibile pensare aziende contemporanee).
Nel 2021 le aziende dovranno cominciare a sperimentare il vero smart working, che non è né remote working né home working: nulla a che vedere, insomma, con quanto vissuto nel 2020, per dirla con chiarezza.
Lo smart working è un cambiamento profondo del modo di lavorare, perché dà spazio al valore delle persone mettendole alla prova non più all'interno di orari di lavoro definiti e schemi prestabiliti, ma di fronte a obiettivi semplici, misurabili, raggiungibili, rilevanti e settati nel tempo. Si deve davvero passare dalla misurazione del tempo alla misurazione degli obiettivi.
Scegliere lo smart working significa preferire fiducia e trasparenza a comando e controllo.
Il risvolto positivo sarà più autonomia e più responsabilità da parte di tutti e meno autoritarismo fine a se stesso da parte dei manager, che potranno così sfidare se stessi nel diventare veri driver del successo delle proprie persone e, attraverso di loro, dell'azienda.
New ways of working. Nel 2021, per concludere, la scommessa del top management sarà quella di trovare dei nuovi modi di lavorare che siano sempre più people-centered.
Si può lavorare in un altro modo, esiste un'alternativa all'ufficio dalle 9 alle 18 che può renderci più soddisfatti e felici delle nostre vite e, di conseguenza, più produttivi. Se le aziende vogliono continuare ad attrarre e trattenere le migliori persone, devono pensare modi, tempi e spazi di lavoro che siano realmente progettati attorno alle persone.
La sfida che ognuno di noi deve affrontare però è un'altra: essere co-designer di questo processo di cambiamento. Osservando, ascoltando, studiando bene il contesto della nostra azienda, trasformandoci in intrapreneur - imprenditivi in azienda - ovvero scoprendoci realmente parte del percorso e del successo dell'impresa con cui collaboriamo.
Questi trend, d'altronde, sono tra loro connessi da un filo comune: dobbiamo partire da noi stessi per disegnare nuovi modi di lavorare, sapendo che tecnologia e digitale forniscono gli strumenti, ma che a essere davvero smart, alla fine di tutto, sono le persone.
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