di Nicoletta Polla-Mattiot
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«In tempi di contrazione del mercato globale, la sola idea di business che conta, nel mondo della moda, è restare all'altezza dei sogni che abbiamo creato». Sotto l'apparenza onirica e idealistica, questa affermazione suona severa in un momento storico di particolare incertezza e prende un impegno titanico: se ripresa ci deve essere, per garantire economia, solidità sociale e posti di lavoro, la mancanza di coraggio è la peggiore perdita di tempo. Occorre pensare in grande, investire in grande, non fermarsi a calcoli di breve respiro.
A parlare è il numero uno della moda Chanel, il presidente Bruno Pavlovsky in una lunga intervista che apre il numero speciale di How to Spendi t/A passion for fashion, in edicola da venerdì 9 ottobre.E' un viaggio appassionato nella filiera della moda che traccia una mappa di mestieri altamente specializzati, dai filati di ricerca del vercellese alla pelletteria di nicchia delle migliori concerie toscane, da microscopici laboratori artigianali ad aziende storiche, dove il Made in Italy è il tessuto manifatturiero di cui sono fatti i sogni più sofisticati del mercato del lusso.
E' interessante che a riconoscerlo siano proprio gli stranieri, manager e creativi che trovano nel nostro Paese professionalità ormai rare e materie prime irrinunciabili per produrre abiti, calzature, accessori di qualità. Lo conferma, proprio nel cinquantenario del brand, Paul Smith. «Quasi tutto il nostro abbigliamento è fatto in Italia. La qualità delle stampe con aziende come Ratti, Pinto, Mantero è altissima. Senza voler adulare il vostro know how, mi piace la vostra attitudine verso la vita, la positività, il fatto che abbiate un istinto innato per la qualità. C'è in voi una stilosità che è mentale, non fisica, una predisposizione fare gli abiti belli».
C'è un legame che unisce idealmente questo numero di ottobre A Passion for Fashion con il numero di settembre di How to Spend it, uscito proprio durante la prima Fashion Week dai tempi del Covid-19: una scommessa per tutto il settore, che ha visto la città di Milano protagonista di una kermesse ridotta nei numeri, ma non nella volontà di ripartenza, e la convinzione che la crisi attraversata debba diventare il punto d'avvio di un Rinascimento delle arti e dei mestieri, proprio come lo è stato il periodo creativamente più fecondo della storia italiana. Ovviamente si parla di un Rinascimento in chiave 6.0, adeguato ai tempi, consapevole della digitalizzazione, trasversale alle stagioni e alle generazioni, locale nella capillarità, internazionale nei protagonisti e nei mercati.
Di questa prospettiva insieme economica e culturale è interprete la copertina del nuovo numero: un gruppo di modelle di differenti nazionalità, età e stili, rappresentate, alla maniera del Pollaiolo o del Mantegna, nella “moda del tempo”, dove alla preziosità delle acconciature si sostituisce la contemporaneità irriverente di una bombetta in feltro e dove la struttura classica della composizione del “gruppo di famiglia” lascia spazio a una consaguineità ideale estesa al mondo.
Stessa corrispondenza si respira nei due i servizi di moda che raccontano la nuova stagione: il primo è un'elegia domestica, il racconto intimo di una notissima modella e artista ripresa dall'obiettivo dell'altrettanto noto marito fotografo e filmaker, ovvero Saskia de Brauw e Vincent van de Wijngaard. Il secondo è un viaggio nei must have del guardaroba interpretato da uno dei volti-rivelazione delle passerelle: Nabou Thiam, 18 anni, nata in Italia, doppia cittadinanza italiana e senegalese, diventata modella solo dopo aver convinto il padre che, nonostante i servizi fotografici, le sfilate di Dolce&Gabbana o di Etro, avrebbe “finito la scuola e proseguito con l'università, oltre a continuare a occuparsi della casa. Compreso cucinare per cena cacio e pepe!”.
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