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Wirecard,fermato l’ex ceo Braun per il buco da 2 miliardi. La Germania inciampa nel suo «caso Parmalat»

di Alessandro Graziani

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(REUTERS)

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Ai revisori non risultano i depositi dichiarati nelle Filippine. E ora le banche (Abn Amro, Ing, Commerzbank e istituti cinesi) potrebbero ritirare le linee di credito. Sotto accusa i controllori di Bafin (Consob tedesca) che ha sempre difeso la società

23 giugno 2020
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2' di lettura

L’ex ceo e fondatore di Wirecard, Markus Braun, è in stato di fermo, su mandato della procura di Monaco. Lo scrivono i media tedeschi, fra cui Bild on line e Ntv. Il colosso informatico tedesco è da giorni nel mirino, per un buco di bilancio di 1,9 miliardi di euro. La società tedesca Wirecard dichiarava di avere due miliardi di liquidità in cassa. Ma ora i revisori di EY dicono che la cassa non c’è. O forse, le indagini sono finalmente in corso, non è mai esistita. Il caso ricorda quello di quasi venti anni fa dell'italiana Parmalat, che aveva falsificato i bilanci dichiarando di avere fondi liquidi (poi rivelatisi inesistenti) depositati nei paradisi fiscali dei Caraibi.

Anche la tedesca Wirecard vantava una ingente, e quasi certamente finta, liquidità. Non in Baviera, dove ha sede, ma presso alcune banche delle Filippine. Molti investitori negli ultimi anni avevano espresso dubbi sui conti di Wirecard. Ma la Bafin (Consob tedesca) aveva sempre difeso la società, addirittura minacciando azioni legali contro gli “speculatori” e giornalisti (è il caso di un'inchiesta del Financial Times di alcuni mesi fa) che mettevano in dubbio la regolarità i conti di Wirecard.

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Ora è Bafin a finire sotto accusa degli investitori e con essa il sistema dei regolatori e degli inquirenti tedeschi, giudicati troppo compiacenti nel difendere gli interessi della Germania. “O la società non ha mai fatto profitti e siamo davanti alla più grande truffa finanziaria della Germania, oppure la società faceva profitti e il management ha rubato 2 miliardi in cassa. In entrambi i casi, Bafin è un regolatore da repubblica delle banane», ha commentato su Twitter Davide Serra di Algebris dando voce al malcontento degli investitori internazionali.

Da anni Wirecard era oggetto di dubbi di analisti e investitori sulla reale crescita del fatturato e degli utili (ma non sull'esistenza della cassa). La magica crescita della Fintech attiva nel business dei pagamenti, orgoglio della modernità finanziaria tedesca avendo sostituito Commerzbank nell'indice Dax30, si era borsisticamente interrotta già da tempo, allontanandosi dalla valutazione record di 28 miliardi. Dopo il doppio crollo di giovedì 18 (-61%) e venerdì 19 giugno (-35%), la capitalizzazione è scesa a poco più di 3 miliardi.

Ma il futuro della società è in bilico. Perché le altre banche creditrici di Wirecard, dopo la probabile truffa dei 2 miliardi inesistenti, devono decidere a breve se mantenere le linee di credito in essere fino a 1,5 miliardi. Il rischio è di accelerare il default della società ma l'alternativa, mantenere in piedi un'azienda che potrebbe rivelarsi “decotta”, comporta il reato di bancarotta.

Tra i creditori, oltre ad alcune banche cinesi, anche la solita pattuglia degli istituti che più amano il rischio in Europa: Commerzbank, Abn Amro e Ing.
A far scattare il default, prima delle banche, potrebbero essere le agenzie di rating internazionali che finora giudicavano Wirecard come investment grade.

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