Una scuola secondaria chiusa, oggi, a Wuhan (Reuters)
5' di lettura
La tentazione nella quale non bisogna cadere, in questi giorni difficili, è quella vestire i panni di un novello Archimede Pitagorico e iniziare a giocare con i numeri facendo un confronto diretto Italia-Cina. Se fosse così facile, non ci sarebbe bisogno di complicatissimi modelli matematici, che la Statistica Medica utilizza da decenni, e basterebbero gomma e matita.
Così facendo il rischio di sbagliare sarebbe enorme, soprattutto perché i numeri, in Italia e in Cina, vengono conteggiati in modo diverso. Noi utilizziamo come parametro giornaliero quello delle infezioni in corso: quindi vengono esclusi i deceduti, che non possono più trasmettere l'infezione, e i guariti che avendo superato l'infezione stessa non sono più infettivi. In Cina, invece, fin dai primi giorni hanno comunicato il numero totale delle infezioni, includendo nel dato complessivo anche decessi e guarigioni. Una differenza non da poco.
Senza contare che le misure adottate nell'Hubei (tutti in casa, stop alle attività lavorative, spesa consentita a giorni alterni con un solo componente per famiglia autorizzato a uscire, negozi riforniti dall'esercito, divieto di utilizzo dei mezzi privati) fanno sembrare le limitazioni che giudichiamo insostenibili come un giochetto da parco dei divertimenti.
Eppure i numeri cinesi qualcosa ci dicono, come del resto testimoniato da uno studio appena pubblicato sulla rivista Science che analizza l'effetto delle misure restrittive adottate in Cina, in particolare di quelle relative allo spostamento delle persone. Pur tra mille difficoltà e ritardi la blindatura totale della Provincia dell'Hubei avrebbe rallentato solo di pochi giorni la diffusione sul territorio cinese: giorni che tuttavia sono stati utilizzati al meglio per gestire e mitigare l'impatto dell'infezione al di fuori dell'area dell'epicentro.
Ma soprattutto, questo il dato forse più rilevante, le misure hanno limitato di circa l'80% i contagi che, alla metà del mese di febbraio, avrebbero dovuto essere presenti nel resto del mondo. Un segnale chiarissimo di quanto sia importante chiudersi in casa e limitare gli spostamenti.
Torniamo ai numeri, dicendo che più dei valori assoluti e della contabilità quotidiana ci può aiutare, se proprio vogliamo capirci qualcosa in modo semplice, l'andamento delle curve dell'epidemia. Ovvero la tendenza dei numeri. Andiamo con ordine.
La decisione di sigillare Wuhan e l'Hubei risale al 23 gennaio scorso: i casi certificati, in tutta la Cina, erano 1.131. Un numero molto simile ai 1.128 totali (non infezioni in corso, totali) che in Italia abbiamo raggiunto il 29 febbraio scorso. Otto giorni più tardi la Cina era arrivata a quasi 10mila infezioni certificate (9.692) mentre in Italia, nello stesso periodo di tempo, siamo arrivati a 7.375 (dato complessivo dei contagi all'8 marzo, includendo deceduti e guariti).
Dati molto simili, come si vede, ma soprattutto dati che dipingono una curva di sviluppo appena al di sotto di quella registrata in Cina. Quindi, se (e ripetiamo se) dovessimo replicare l'andamento registrato dall'epidemia cinese, più o meno sappiamo dove potremmo arrivare. Sapendo che dovremo essere “bravi” almeno come loro nel rispetto dei comportamenti e delle limitazioni, cosa che finora non è avvenuta e non sta avvenendo, come è sotto gli occhi di tutti.
Guardare il dato del contagio totale è tuttavia fuorviante: il numero è per definizione destinato a crescere, e molto, fino a quando l'epidemia non si arresta e scompare. Anche un solo caso in più al giorno, infatti, aumenta questo numero.
Più che il numero totale può essere di aiuto guardare all'incremento percentuale giorno su giorno, che ci dice come evolve lo sviluppo. In Cina questo dato ha iniziato a decrescere proprio dopo 7-8 giorni dall'inizio della quarantena: calando costantemente dal +32% del 29 gennaio fino allo “0 virgola” attuale. Quindi un calo della percentuale di nuove infezioni, magari modesto ma costante, potrebbe aiutarci a capire che siamo nella direzione giusta. E che, assolutamente, non bisogna commettere l'errore di rilassarsi, ma al contrario insistere con maggior rigore nell'applicazione delle contromisure.
Se proprio vogliamo tenere d'occhio un numero singolo allora consideriamo quello delle nuove infezioni: sapendo, sia ben chiaro, che se dovesse replicare l'andamento registrato in Cina nei prossimi giorni sarà destinato a crescere in modo apparentemente divergente rispetto all'incremento percentuale di cui abbiamo parlato prima.
Perché? Molto semplice. Facciamo un esempio pratico per capire meglio: il 2 febbraio scorso in Cina l'incremento percentuale giorno su giorno era sceso al +20,4% (ben al di sotto del +32% del 29 gennaio). Su un totale di 11.943 contagiati totali del giorno precedente, 1 febbraio, quel +20,4% rappresentava 2.437 nuove infezioni (che portavano il totale a 14.380).
Sei giorni dopo, l'8 febbraio, l'incremento percentuale giorno su giorno era crollato al 10,9%. Le nuove infezioni però, rispetto al giorno precedente, erano salite di 3.385 unità. Molto più delle 2.437 di sei giorni prima.
La spiegazione è ovvia, ed è legata al numero totale delle infezioni cumulate nel frattempo. Da 14.380 si era infatti passati a 34.546. Facciamola semplice: il 10% di 1000 (100) è un dato molto superiore al 50% di 100 (50). Per questo motivo, al crescere delle infezioni totali, il numero delle nuove infezioni tende ad espandersi anche in presenza di una curva (calcolata in percentuale) che si sta riducendo. O almeno continua a farlo per qualche tempo.
Che lezione possiamo trarre dai numeri cinesi? Sappiamo che il dato dei nuovi contagi giornalieri ha iniziato a mostrare segni di rallentamento a partire dall'8- 9 febbraio (16-17 giorni dopo l'avvio della quarantena) quando per la prima volta è sceso sotto quota 3.000. Il balzo del 13 e 14 febbraio è stato un “incidente” dovuto al cambiamento dei criteri di calcolo (guarda caso…) quando i medici cinesi hanno iniziato a conteggiare non solo i pazienti positivi al tampone, ma anche i casi diagnosticati clinicamente (ovvero il medico decideva, senza test, che quello era un caso di Covid19).
Non appena questa anomalia è stata rimossa (due giorni dopo) i numeri hanno ripreso la stessa dinamica che avevano in precedenza.
Quindi possiamo azzardare a dire che, se saremo bravi come i cinesi (che sono stati tenuti in casa con la forza) potremmo iniziare a vedere i primi segni di un rallentamento delle nuove infezioni a partire dal 16-17esimo giorno dopo il 29 febbraio, il giorno in cui abbiamo toccato quota 1.128. Ossia verso metà marzo (nei giorni 16-17).
Dunque nervi saldi. Lasciamo perdere il conteggio puntuale giornaliero, che finisce solo per creare ansia se non sappiamo interpretarlo. Cerchiamo di capire come si muove la curva del contagio e, se proprio vogliamo guardare un numero guardiamo quello dei nuovi contagi. Se scende quello, fino ad arrivare a zero, il coronavirus è sotto controllo.
Da chi dipende? Da noi. Dai nostri comportamenti. Ogni volta che infrangiamo le regole pensando di essere più belli, più bravi o più furbi, apriamo una porta: e il virus aspetta solo quello.
P.I. 00777910159 Dati societari
© Copyright Il Sole 24 Ore Tutti i diritti riservati
Per la tua pubblicità sul sito: 24 Ore System
Informativa sui cookie Privacy policy