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Nietzsche, un viaggio “on the road” ai confini del pensiero e della follia

di Dario Ceccarelli

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Un ritratto di Friedrich Nietzsche (GettyImages)

Un ritratto di Friedrich Nietzsche (GettyImages)

Il libro di Paolo Pagani è una sorta di biografia romanzata, una cartografia del pensiero che ripercorre appunto “on the road” le tracce del nomade filosofo tedesco

3 marzo 2021
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6' di lettura

Che i filosofi siano dei pericolosi sovversivi, anche quelli più apparentemente conservatori, è risaputo. Usare autonomamente la testa, non procedendo compatti nel gregge del pensiero comune, è già una delle azioni più rivoluzionarie (e sospette) che si possa mettere in atto. Magari, sul momento, non allarma questure e polizie più o meno segrete, però alla lunga è come l'acqua che scava la roccia: penetra, corrode, fa buchi nella morale corrente. Soprattutto toglie quel velo di ipocrisia che tutti ci portiamo appresso per pigrizia e comodità, vigliaccheria e conformismo.

Una di queste figure, cui l’ingessatura del pensiero va proprio stretta, è Friedrich Nietzsche, il vulcanico filosofo tedesco che col suo pensiero corrosivo, così anticipatore, più ha contribuito a far saltare la maschera di ferro della menzogna codificata, pagando però dazio perchè quella maschera, una volta strappata, non lo ha più riparato dal baratro della follia.

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Cercare la verità, quando è così ustionante, può essere rischioso. Molto rischioso. Nietzsche lo scopre una fredda mattina di gennaio del 1889. Braccato dai suoi fantasmi, e da una lista infinita di malanni, vive a Torino in piazza Carlo Alberto, ultimo suo domicilio conosciuto di filosofo errabondo e apolide. Quel 3 gennaio, uscendo di casa per comprare i giornali, rimane sconvolto dalla scena di un vetturino che frusta il suo cavallo. Una violenza inaudita per il filosofo che, dopo essersi stretto al collo dell'animale, si accascia al suolo in lacrime. La follia gli ha divorato la mente. Ha solo 45 anni, ma è come se ne avesse mille; come se su quell'uomo perennemente in fuga, si fossero accatastati secoli di bugie e patimenti. Morirà a Weimar, in Turingia, undici anni dopo, il 25 agosto 1900, senza più riprendersi. È l'alba di un nuovo secolo, ma quel filosofo visionario, che coi sui lampi lo aveva anticipato, se ne va nel buio della coscienza.

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Perchè Nietzsche è travolto dalla follia? Per la sua fragilità endemica o per un “eccesso” di pensiero che travolge una mente già ipersensibile? E il luogo geografico, quella Torino così severa e squadrata che pure ama, quanto contribuisce a dargli l'ultima spallata?

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Non è facile avvicinarsi a Nietzsche. Soprattutto incasellarlo in qualcosa che gli dia un senso compiuto, un prima e un dopo che ci restituisca intatto il suo pensiero. Si ha sempre la sensazione che ti sfugga via, come lui ha sempre fatto, in una vita di “stop and go” senza radici. Un modo brillante per venirne a capo, e capirci qualcosa prima di impazzire anche noi, è quello che propone Paolo Pagani con il suo “Nietzsche on the road”, uscito da poco per Neri Pozza. Un libro che non è un saggio sul pensiero del filosofo tedesco («Non mi inerpico in presuntuose interpretazioni dottrinali. Non sono un filosofo né un professore di professione», avverte l'autore) ma una sorta di biografia romanzata, una cartografia del pensiero che ripercorre appunto “on the road” le tracce del nomade pensatore tedesco.

Ecco allora il suo metodo, già sperimentato nella sua precedente opera I luoghi del pensiero. Spiega Pagani: «Forse in nessun caso come in Nietzsche opera e biografia si sovrappongono come la decalcomania al vetro o il ragno alla mosca. Sono sempre i luoghi che decidono la trama. Così, per scoprire dove e in quale situazioni nasca e si sprigioni il suo pensiero, e in che modo preluda alla follia, ho seguito i suoi itinerari metro per metro dividendo la vita di Nietzsche in tre blocchi geografici distinti che coincidono con corpi tematici delle sue opere».

L'autore insomma, fedele all'idea che ogni accadimento ha una sede, non si muove in ordine cronologico. Ma si muove come si è mosso Nietzsche, dividendo cioè la sua vita nei tre luoghi del cuore in cui l’errabondo filosofo ha peregrinato e soggiornato. Con una prima sezione dedicata alla Germania («dove tutto è iniziato e tutto è finito 56 anni più tardi»), che raduna ogni esperienza tedesca, da quella della non facile vita in famiglia e della scioccante scomparsa del padre, sino al ritorno fatale, nell'elegante Weimar, dove muore in demenza nell'agosto del 1900.

La seconda sezione riguarda la feconda stagione trascorsa in Svizzera, forse (se per Nietzsche si può dire) quella più felice. A Basilea insegna per dieci anni. Ma in questa sua seconda patria si snodano gli incontri più importanti della sua vita: quello coinvolgente e ondivago con Richard Wagner e consorte, a Tribschen, e quello altrettanto folgorante, sulle rive del lago di Surlej, in Alta Engadina, col pensiero di Zaratustra: una contaminazione che gli farà sviluppare temi e angosce del secolo che verrà. In quell'aria sottile, di trasparenza incomparabile, il filosofo si incammina con il suo bastone da viandante sui pericolosi tornanti di idee ardite e crudeli, spesso confliggenti con il cristianesimo e il giudaismo, come il pensiero dell'eterno ritorno dell'identico e la profezia dell'avvento del superuomo.

È un lungo peregrinare, quello di Fritz, che per quanto tormentato ha però un pregio impagabile.«Tutti i luoghi del suo girovagare sono rimasti tra i più incantati d'Europa. Segno di un fiuto particolare per riconoscere e scovare sistematicamente la bellezza», scrive Pagani suggerendoci maliziosamente di utilizzare Nietzsche non solo come prezioso scandaglio del pensiero ma anche come stimolante guida turistica.

Fitti boschi di larici, prati di velluto, cime imponenti e ghiacciai eterni. È a Sils, dove soggiorna dall'8 luglio al 1 ottobre 1881, che Nietzsche “incontra” Zarathustra: «Camminavo in quel giorno lungo il lago di Silvaplana attraverso i boschi; presso una possente roccia che si levava in figura di piramide, vicino a Surlei, mi arrestai. Ed ecco giunse a me quel pensiero…».

La terza parte, abbandonato l'insegnamento a Basilea, si conclude nel Sud, nel Mediterraneo, luoghi adorati da Nietzsche, nei quali si sposta con ritmo compulsivo. Va a Genova, Rapallo, Sorrento, Riva del Garda, Venezia, Torino. Le malattie, le sue crisi allergiche, le sue emicranie, non gli danno tregua. E lui rilancia cercando altri luoghi, altre, località dove concludere la sua opera. E' in questo arco di tempo, tra il 1872 e il 1888 «che Nietzsche diventa Nietzsche» scrive l'autore senza dimenticare di soffermarsi sulle opere più esplosive come Ecce Homo, Così parlò Zarathustra, Al di là del bene e del male, La gaia scienza.

«Stando al suo fianco per migliaia di chilometri ho visto scaturire le folgori del suo pensiero da case in affitto, stanze d'albergo, gelidi ritiri in alta montagna o passeggiate solitarie in riva al mare». Poi la passione per la musica, l'insegnamento e la pedagogia, fino alla sua concezione educativa (Umano troppo umano) molto innovativa per quel tempo. C'è spazio anche per degli aneddoti suggestivi e divertenti. E anche per qualche pausa ristoratrice e compensativa, dopo tanti tuffi negli abissi del pensiero. In Italia Nietzsche conosce la buona cucina: ha una passione per ossibuchi, broccoli e vini della Valtellina.

Poi, ci sono gli incontri, le coincidenze, gli snodi della vita. Attraversando il lago di Lucerna, nel 1871, viene a sapere che sul battello c'è anche un misterioso passeggero avvolto da un mantello nero. È Giuseppe Mazzini, ricercato per attività sovversive, in viaggio anche lui verso Lugano. I due, attraversando il passo del Gottardo, si parlano in albergo aspettando che finisca una tempesta di neve. Si piacciono, nonostante le differenze. Uno fugge dalle polizie di tutto il mondo, l'altro dai suoi demoni. Alla fine non possono che andar d'accordo.

Gli va invece male con Lou von Salomè, l'affasciante e sfuggente scrittrice russo-tedesca che probabilmente lo ispirò a scrivere le prime due parti di “Così parlò Zarathustra”. È la sua musa, l'amor che brucia, con lei si perde nelle atmosfere fiabesche del Lago d'Orta e dell'Isola di San Giulio. Insieme si inerpicano sul Sacro Monte. Sembrano fatti l'uno per l'altra. Ma quando Nietzsche si fa avanti, lei fa spallucce preferendo un altro corteggiatore, il più pratico e meno ingombrante Paul Rèe, giovane polacco di nobile famiglia. Ma anche a lui, le cose andarono male. Demoliti i suoi sogni nuziali, l'inquieta Lou ebbe altri amori e altre vite.

In questo lungo viaggio al termine della notte di Nietzsche, l'autore vuole anche far giustizia. Dare a Nietzsche quel che è di Nietzsche. E cioè ribadire che il suo pensiero, spesso confuso con l'ideologia nazista, nulla ha a che fare con i seguaci di Hitler. Anche se lui si definiva un pensatore “dinamitardo”, forse per meglio sottolineare che il suo pensiero non discendeva da nulla, «Nietzsche non è mai stato il profeta osceno del nazismo» scrive Pagani. «Non è mai stato antisemita. Basta leggerlo. È stato frainteso, abilmente strumentalizzato e manipolato. Soprattutto da una sorella, Elisabeth, molto spregiudicata, che sul pensiero del fratello si è arricchita facendolo passare come profeta del nazismo». Questa sorella, lei sì antisemita fino al midollo, detta “Lama” perchè da bambini sputava al fratello quando litigavano, nel 1934 ha perfino regalato a Hitler il bastone da passeggio di Nietzsche. L'ultimo oltraggio a un uomo che, cercando la strada della verità per gli altri, ha perso la sua.

Paolo Pagani
Nietzsche on the road . Quattromila chilometri verso la follia
Neri Pozza, pagine 368, euro 18

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