di Plinio Innocenzi*
(AFP)
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La grande crisi globale che stiamo vivendo è inevitabilmente destinata a cambiare lo scenario geopolitico mondiale e i rapporti economici e commerciali tra i diversi paesi. La Cina, da cui questa crisi ha avuto origine, si è rivelata nel suo ruolo di fabbrica del mondo un attore imprescindibile del quale tenere conto nell'elaborazione di ogni scenario futuro.
La catena globale della produzione ha mostrato una dipendenza essenziale dalla Cina, senza il cui supporto molti paesi hanno scoperto di non poter disporre di beni essenziali come farmaci e dispositivi sanitari.
La penuria di dispositivi di protezione individuale e mascherine ha mostrato la debolezza di un modello in cui prodotti essenziali non sono stati ritenuti strategici e non è stata fatta una politica conseguente a livello nazionale ed europeo. Eppure, le mascherine chirurgiche e quelle per la protezione dalle polveri sottili sono ampiamente utilizzate quotidianamente durante il lavoro da una fascia importante della popolazione. Non solo il prodotto finito ma anche i materiali per realizzarle, che sono di tipo speciale, non sono prodotti in Italia e quindi anche i tentativi di sopperire con produzioni locali risultano molto complessi. Lo stesso problema lo si è incontrato con apparati biomedicali come i respiratori.
Gran parte dei paesi occidentali hanno quindi creato una dipendenza dalle forniture cinesi in alcuni prodotti essenziali senza che apparentemente ci sia mai stata una considerazione strategica e di opportunità.
La Cina ha invece seguito una strada diametralmente opposta e a partire dall'ultimo piano quinquennale, il XIII dal 2016 al 2020 e poi dal piano Made in China 2025 lanciato nel 2015, ha considerato il raggiungimento di una totale autonomia dalle importazioni straniere una priorità strategica.
Gli obiettivi elencati in Made in China 2025 sono estremamente chiari anche dal punto di vista numerico. Il settore farmaceutico e biomedicale è stato inserito tra i dieci obiettivi prioritari e secondo il piano la Cina dovrebbe raggiungere una quota di produzione domestica nei settori biomedicali del 40% entro il 2020 e del 70% per il 2025. L'utilizzo negli ospedali di prodotti cinesi dovrà raggiungere il 50, il 70 e il 95% nel 2020, 2025 e 2030 rispettivamente.
Gli obiettivi di crescita dell'industria nazionale farmaceutica e biomedicale sono stati sostenuti da una campagna di acquisizioni di industrie all'estero che ha portato all'ottenimento di know-how e quote di mercato; un esempio è la Esaote italiana, industria leader nella diagnostica a ultrasuoni. Nel perseguire lo sviluppo dell'industria farmaceutica nazionale la Cina ha utilizzato tutte le possibili barriere non tariffarie che possano ostacolare o ritardare l'accesso al suo mercato interno, che nel frattempo è divenuto il secondo del mondo dopo gli Usa.
Nel frattempo, la Cina, attraverso acquisizioni e ingenti investimenti in ricerca e innovazione, ha rapidamente sviluppato la capacità di sviluppare e far entrare nel mercato farmaci innovativi, cioè prodotti che sono considerati ad alto valore aggiunto e i più economicamente remunerativi. È un mercato quindi in rapido mutamento e dal quale potranno emergere nuovi competitori per le nostre imprese.
Nel 2019 abbiamo esportato 1,041 miliardi di euro di prodotti farmaceutici e 13,638 miliardi l'Ue nel suo complesso, a fronte di importazioni per 370 milioni per l'Italia e 2,558 miliardi per l'Ue. Si tratta quindi di una delle poche voci a favore dell'interscambio italiano e della Ue con la Cina. Segnala anche come la Cina sia tuttora fortemente dipendente dall'esterno per l'approvvigionamento di prodotti farmaceutici, quelli non generici, e che considera strategico e prioritario ridurre questa dipendenza.
Nella situazione di emergenza dovuta alla pandemia la Cina non ha comunque fatto mancare, per quanto la situazione lo consentisse, la possibilità di approvvigionarsi del materiale sanitario necessario. È anche una necessità politica perché altrimenti la potrebbe esporre, nel dopo crisi, a possibili forme di rivalsa.
In questo complesso gioco di dipendenze reciproche da forniture sanitarie vitali, è probabilmente arrivato il momento di pianificare anche per l'Italia e la Ue la sua strada verso l'autosufficienza in tutti quei settori dove l'eventuale interruzione della catena delle forniture possa mettere a rischio la salute della popolazione e non solo la produzione industriale. Il dopo crisi ci impone anche di affrontare i rapporti con la Cina in modo strategico e non improvvisato. È necessaria una precisa definizione del contorno dei nostri interessi nazionali e una politica estera conseguente dove la Cina abbia una chiara collocazione nel quadro delle alleanze e delle relazioni commerciali.
*Dipartimento di Chimica e Farmaceutica, Università di Sassari
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