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A Lecce l’inedito mix di Dior, tocco salentino e allure francese

di Angelo Flaccavento

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(AFP)

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L’italiana Maria Grazia Chiuri, responsabile creativo del brand del gruppo Lvmh, valorizza le eccellenze artigianali per raccontare le manualità locali: show tra tarantola e luminarie

25 luglio 2020
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2' di lettura

La si chiami determinazione, resilienza, sventatezza, cinismo o eroismo: da Dior il Covid è come se non fosse mai passato. Tutto come prima, in continuità. In questo senso c’è da restare ammirati: dal numero dei capi in passerella alla ricchezza dell’allestimento, non c’è segno apparente di crisi. Il lavoro collettivo vince tutto, e questo è già il messaggio energizzante da portare a casa. Manca il pubblico, con poche eccezioni – con dilagante malcontento, perchè la mappa delle élite continua a cambiare – ma per il resto lo show della collezione cruise di Dior è identico a quelli che lo hanno preceduto. Inizialmente previsto per maggio, è stato riprogrammato e trasmesso mercoledì sera in streaming dalla piazza del Duomo di Lecce, con i 15 minuti di ritardo che sono la prassi delle sfilate fisiche.

È una formula che Maria Grazia Chiuri, direttore creativo della storica maison francese Dior (parte del gruppo Lvmh), ha messo a punto fin da subito, e che molto giova alla storica maison parigina in termini di successo commerciale e mediatico. La moda non è opera pia: vendere parecchio non significa mancanza di pensiero o adesione allo status quo. Vuol dire toccare una corda nel pubblico. La ricetta Dior è caratterizzata da un perfetto equilibrio di forma e decorazione, da un uso accorto del logo e del branding, da una femminilità fresca e comprensibile, piuttosto convenzionale nonostante la narrativa femminista, e che sia Marrakech (dove sfilò la cruise del 2019) o il Salento poco importa, a cambiare è solo la cornice dello show. La duratura liaison con Chiara Ferragni, elevatasi dal ruolo di influencer a quello di ambasciatrice, è indicativa di questa visione.

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Certo, i tomboli e le intricate lavorazioni viste in passerella raccontano di una manualità locale, solidale e collettiva che è tutta femminile, come le fantasmagoriche luminarie con gli slogan di Marinella Senatore sono un inno al potere del gineceo, ma quel che alla fine conta, nella moda, è l’immagine. La donna Dior non è una combattente, e nemmeno una tarantolata, pur con il bustino di pelle intarsiata, gli stivali e il fazzoletto in testa.

È una donna aggraziata, consapevole del proprio ruolo, profondamente borghese e parigina, esattamente come la volle monsieur Dior. Non la si immagina in Salento, ed è nello iato tra la biografia personale di Maria Grazia Chiuri, salentina da parte di padre, e la storia della maison che sta la scintilla di questa prova. Certo, il folk è tema periglioso, e il sud Italia, nella moda, diventa subito cliché. Però lo spettacolo è una goduria liberatoria e vivificante, esattamente come la pizzica che accompagna tutto.

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