di Michele Pignatelli
Il castello di Christiansborg a Copenhagen, sede del Parlamento danese
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C'era una volta la Danimarca, in cima alle classifiche mondiali quanto a parità di genere, circondata da una fama di equa e consolidata spartizione dei ruoli in famiglia e nella società, da anni abituata a una forte presenza femminile nelle istituzioni politiche, come conferma la premier in carica, la socialdemocratica Mette Frederiksen. Da un mese a questa parte, però, sembra essersi squarciato un velo, rivelando una realtà di abusi e discriminazioni ben diversa, che ha dato forza – con tre anni di ritardo – al movimento #MeToo e che travolge ora anche la politica.
L’ultimo caso sono le dimissioni eccellenti del sindaco di Copenhagen e vicepresidente del partito socialdemocratico Frank Jensen, 59 anni, ex ministro della Giustizia e da 11 anni alla guida della capitale. Lunedì 19 ottobre il primo cittadino si è dimesso, dopo aver ammesso numerosi episodi di molestie sessuali nei suoi 30 anni in politica. «Mi scuso con le donne che ho offeso», ha dichiarato Jensen, dopo che il quotidiano Jyllands-Posten aveva pubblicato la testimonianza di due donne molestate.
All’inizio del mese, aveva lasciato l’incarico il leader del partito social, Morten Ostergaard, dopo aver invano cercato di tenere nascosto un analogo episodio ai danni di una collega più giovane.
E l’onda lunga tocca ora anche il governo, riaccendendo i riflettori su una vicenda del 2008, quando l’attuale ministro degli Esteri, il socialdemocratico Jeppe Kofod, allora 34enne, ebbe rapporti sessuali con un’attivista 15enne del partito. Sebbene non si trattasse di un reato – l’età del consenso in Danimarca è appunto 15 anni – Kofod, allora portavoce parlamentare per gli affari esteri, rinunciò al suo incarico; ma l’episodio non ha danneggiato la sua carriera successiva, prima di europarlamentare e, dall’anno scorso, di ministro degli Esteri.
Ora però, con l’emergere di nuovi particolari, aumenta la pressione perché il ministro si dimetta.La premier Fredriksen, dura e decisa nei confronti del sindaco di Copenhagen, ha scelto finora di difendere il suo ministro. «E’ stato un errore commesso anni fa – ha detto ai giornalisti -. Non voglio che il partito e la Danimarca diventino un posto in cui non puoi sbagliare a un certo punto della tua vita, scusarti, subire le conseguenze» e poi andare avanti. Ha ammesso però che avrebbe potuto fare di più per stroncare il fenomeno all’interno del partito socialdemocratico.
Ad alimentare la svolta è stato il repentino cambio di passo del movimento #MeToo. Quando, nell’ottobre 2017, la campagna contro le molestie sessuali fu lanciata e crebbe al punto da diventare virale sui social network, la Danimarca appariva un’isola felice. A confortare questa visione erano i già citati indici di Gender Equality: quello Ue calcolato dall’Eige, l’Istituto europeo per la parità di genere, dove il Paese figura secondo ancora nel 2019 o quello mondiale del World Economic Forum, dove comunque Copenhagen è nella Top 15.
Punti di forza della Danimarca la già citata presenza femminile in politica (circa il 40% di parlamentari sono donne), la possibilità di conciliare lavoro e carriera con la vita familiare, la collaborazione dei partner nella gestione della casa.
Stando a un sondaggio del 2017, dunque, quasi metà dei danesi giudicava il movimento #MeToo necessario ma «esagerato».
A settembre di quest’anno, però, la conduttrice televisiva Sofie Linde, volto notissimo di X Factor, ha rivelato abusi e violenze subite e denunciato discriminazioni di genere: «Possiamo fingere che non ci siano differenze tra uomini e donne in Danimarca – è stata la sua conclusione – ma non è vero».
Si è aperto un dibattito che si è presto trasformato in valanga, con decine di giornaliste pronte a supportare la tesi di Linde con una lettera al al giornale Politiken poi sottoscritta da 1600 donne in tutto. E sono venuti alla luce dati meno lusinghieri per il Paese anche sulle pari opportunità nel mondo del lavoro, dove più di metà delle imprese non hanno donne nei consigli di amministrazione stando a dati governativi del 2017.
«Nella nostra carriera – si legge nella lettera al Posten delle giornaliste danesi – abbiamo tutte sperimentato commenti non appropriati sul nostro aspetto o sul nostro modo di vestire, messaggi allusivi, azioni che oltrepassano i limiti. Gli uomini da evitare alle feste di Natale sono parecchi. È successo. Continua a succedere».
Testimonianze che archiviano definitivamente la favola danese.
Michele Pignatelli
Caposervizio
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