di Gino Ruozzi
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In certi luoghi dell’anima è il frutto della collaborazione tra il fotografo Pino Mongiello e lo scrittore Francesco Permunian. Il libro si inserisce quindi nella nobile scia di Un paese di Paul Strand e Cesare Zavattini, Verso la foce di Luigi Ghirri e Gianni Celati, Viaggio in un paesaggio terrestre di Vittore Fossati e Giorgio Messori. Opere in cui la fotografia si coniuga con la letteratura raggiungendo esiti e fascino ragguardevoli.
Mongiello e Permunian abitano sul lago di Garda amato da Virgilio e Goethe, sfondo dell’enigmatico racconto Il cacciatore Gracco di Kafka. Di origini pugliesi, Mongiello è nato a Salò, di cui è stato sindaco. Permunian è nato a Cavarzere in Veneto ed è poi diventato bibliotecario a Rivoltella di Desenzano del Garda. Per entrambi il lago è dunque un «luogo dell’anima», di quelli che lasciano un’impronta indelebile nella vita e in cui battono per sempre le intermittenze del cuore. Possono essere gli indimenticabili paesaggi dell’infanzia, che riaffiorano attraverso «odori e sapori di una realtà interiorizzata da tempo», e quelli nei quali si è poi «scelto di vivere, dando una svolta al passato». Nel libro i luoghi dell’anima sono tre: il Garda, il Polesine, il Gargano, tutti definiti identitariamente dall’acqua, come i fiumi di Ungaretti, luoghi che «regalano / la rara / felicità» e in cui riconoscersi «docili fibre / dell’universo».
Le immagini intime e luminose di Mongiello sono accompagnate dai testi di Permunian, scrittore tra i più originali dell’attuale scena letteraria, virgiliana guida agli inquieti panorami interiori più che ai suggestivi percorsi naturali. Eppure questo kafkiano «animale da tana» sa regalare indicazioni preziose al viaggiatore che voglia gustare non solo la geografia ma anche lo spirito dei posti, suggerire itinerari inconsueti e gradite predilezioni territoriali, additare «sinuose stradine collinari, poco più larghe di un sentiero, che nel corso degli anni» sono diventate «nel mio immaginario una specie di proustiana “strada di Swann”». Nell’esposizione fotografica di Mongiello e in quella letteraria di Permunian si susseguono così Desenzano e Riva del Garda, la cascata del Varone e la forra del torrente Brasa a Tremosine, le colline di Morgnaga e il monte Baldo, le devozionali raffigurazioni scultoree di San Vigilio e di Sant’Angela Merici.
Al Garda segue il Polesine, tappa speciale in sé ma che riassume anche l’intero corso del Po, che invita infine a mescolarsi e a riposare nel mare, in uno dei delta fluviali più belli e variegati. Si scende dal Po di Cesare Pavese a quello di Riccardo Bacchelli, di Mario Soldati e di Ermanno Olmi, ricchi di narrazioni e di fantasie, di storia e di visioni. Su questa terra di confine modellata dalle acque, quelle del «fiume, del mare, ed anche quella che piove dal cielo» (Mongiello), le pagine più significative sono state scritte da Gian Antonio Cibotto in Cronache dell'alluvione (1954), qualificate da Montale «un documentario vero e non truccato», «intenso e senza retorica», e nel romanzo Scano Boa (1961), storia drammatica di un vecchio pescatore di storioni che ricorda la tenacia e le ossessioni di Moby Dick di Melville e del Vecchio e il mare di Hemingway.
«Quando penso al Polesine», dichiara Permunian, «agli amici e ai compagni di laggiù, quelli già morti e quelli in vita, io me li immagino tutti avvolti in una nebbia umida e grigia». Pianura intrisa di acque che la attraversano e la nutrono, che evaporano come respiri e ammonimenti, «dolcissima e amara terra di contadini e operai, di pescatori, preti, puttane, buffoni e disperati». Mongiello ne ritrae il volto solare, non solo fisico ma spirituale, nel quale via via si identifica e in cui avverte i presagi di «una realtà paradisiaca», con effetti che rinviano ad alcuni bianchi e neri felliniani.
Terzo e ultimo luogo dell’anima è il Gargano, in cui affondano le radici della famiglia d’origine di Mongiello, a Molinella di Vieste. «Quasi ogni estate, per oltre settant’anni, sono tornato a Molinella. Ogni anno trovavo un cambiamento. Prima è stata costruita la strada, poi i lidi a gestione privata». Oggi gli affettuosi e trascorsi ricordi sono disturbati dal chiasso dei bagnanti e dalla musica a tutto volume. Quel memorabile «silenzio che si stendeva fin oltre gli orizzonti più lontani» è scomparso. Sembra di avvertire il disagio e le stesse «constatazioni disarmate» espresse da Flaiano negli anni Cinquanta quando vide trasformarsi Via Veneto in un metaforico «stabilimento balneare». È il frutto popolare del boom economico, della pluridecennale evoluzione industriale e culturale, dell’involgarimento generale.
Giustamente nella postfazione Nino Dolfo parla di un «pellegrinaggio di andata e ritorno tra l’Itaca domiciliare e quella della memoria»: un ininterrotto processo di attaccamento e di conoscenza che continua ad alimentare mente ed emozioni.
In certi luoghi dell’anima. Garda Polesine Gargano,Pino Mongiello, con testi di Francesco Permunian, Grafo, San Zeno sul Naviglio (Bs), pagg. 96, € 12
Gino Ruozzi
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