di Eugenio Bruno
(Imagoeconomica)
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Fino a ieri era solo una percezione. Adesso c’è anche la conferma. Nonostante la morsa della pandemia non accenni a lasciare l’Italia e le università abbbiano trasferito gran parte della loro attività online la tanto temuta fuga dagli atenei non c’è stata.
Anzi, rispetto all’anno scorso, le matricole crescono del 7 per cento.
A certificarlo è una rilevazione del ministero dell’Università, aggiornata al 15 novembre, che contiene anche un’altra buona notizia per i rettori: l’aumento riguarda l’intera Penisola. Perché a fronte di un’impennata più sensibile al Sud, forse in nome di un controesodo imputabile al Covid-19, il Nord comunque tiene. Per la soddisfazione del ministro Gaetano Manfredi, che al Sole 24 Ore del Lunedì sottolinea: «Anche se sono dati provvisori e destinati a cambiare mi sembrano interessanti perché ci dicono, da un lato, che le misure volute dal governo sul diritto allo studio sono state strategiche e, dall’altro, che le famiglie hanno visto nell’iscriversi all’università il modo migliore per affrontare la crisi». Un trend che l’esecutivo spera di ripetere anche nei prossimi anni. Da qui la scelta di prorogare (e rendere strutturali), con la legge di bilancio 2021 all’esame del Parlamento, gli interventi su no tax area e tasse universitarie varate prima dell’estate con il decreto rilancio (su cui si veda altro articolo in pagina). Sperando che nel frattempo il quadro epidemiologico migliori e - auspica Manfredi - si possano riaprire le aule almeno al 50% come era a settembre «con l’inizio del secondo semestre il 1° marzo».
Rinviando alla tabella qui accanto per il dettaglio sui singoli atenei, in questa sede ci soffermiamo solo sulle tendenze principali. Ad esempio, se ci limitiamo alle sole lauree triennali gli immatricolati sono più di 324mila mentre un anno fa di questi tempi erano 305mila (in salita del 4,8%). Se includiamo anche le magistrali e i corsi a ciclo unico il distacco tra ora e allora addirittura si consolida: eravamo a 445mila e siamo a 477mila (+6,1%). Niente effetto-coronavirus dunque nella transizione dalle scuole superiori all’università.
Ugualmente importante appare poi il dato geografico. Se è vero che il Mezzogiorno registra 8mila matricole in più (+6,6%) rispetto al 2019/20 il Centro fa ancora meglio (+ 9,9%) ma anche il Nord tiene (+5,1%). Mentre sul fronte regionale spiccano le performance dell’Umbria, della Sicilia e del Veneto. Con un discorso a parte da fare per Bergamo che nella prima ondata del coronavirus ha pagato un tributo altissimo di vittime e contagi. I dati ministeriali (che per l’ateneo orobico oltre che per Milano San Raffaele, Camerino e Tuscia sono fermi al 1° novembre) registrano 5.396 matricole (-24% rispetto a un anno fa quando erano 7.109). In realtà, l’università guidata da Remo Morzenti Pellegrini quantifica in circa 7mila le matricole complessive tra triennali (peraltro tutte a numero chiuso da quest’anno), magistrali a ciclo unico raggiunte nel frattempo e sottolinea che per le iscrizioni c’è tempo fino al 30 novembre.
Altri due segnali vanno registrati. Il primo è la riscossa dei “piccoli”. Almeno in percentuale il podio è occupato dalla Tuscia, da Perugia e dall’Orientale di Napoli, che salgono, rispettivamente, del 56, del 35 e del 32 per cento sull’anno prima. Laddove, in valore assoluto, il saldo migliore spetta dalla Sapienza di Roma (+2.379) davanti a Perugia (+2.365) e a Padova (2.091) che, con i suoi 20.631 neoiscritti, è terza anche per le nuove matricole totali dietro Sapienza (27.689, in aumento dell’8%) e Bologna (24.722,+ 3% sul 2019). Il secondo segnale arriva dalle private che, nonostante la crisi, si dimostrano in buona salute: Luiss +6,4%, Bocconi +3,1%, Cattolica + 2,5%. Con incrementi ancora più sensibili per le università che puntano tutto o quasi su medicina (per la quale ci sono stati 1.500 posti in più), come Humanitas o il San Raffaele.
Eugenio Bruno
vice caposervizio
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