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Il futuro del lavoro è ibrido: maggiore produttività, ma rischio di spaccature

di Gianni Rusconi

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(monamis - Fotolia)

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Per ogni funzione aziendale si dovrà pensare a uno specifico modello in base alla natura delle mansioni ricoperte

25 gennaio 2021
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3' di lettura

Conciliare i vantaggi di una gestione più autonoma dei propri spazi e del proprio tempo con le esigenze di produttività: nell’attuale situazione di emergenza, il modo di lavorare non è più lo stesso e, con ogni probabilità, non lo sarà neppure nel “new normal”. È un assunto a cui tutti - aziende, manager, addetti, professionisti, collaboratori - si stanno abituando rispetto a un’evoluzione del concetto di lavoro che mutua una terminologia spesso utilizzata in ambito tecnologico.

Si parla infatti di lavoro “ibrido”, di una forma di operare che nasce dalla brusca virata verso il modello dello smart working compiuta mesi fa da migliaia di aziende e imposta dal Covid 19, con una vistosa fetta di dipendenti (mediamente il 40%) impegnati da casa e gli altri chiamati ad adeguarsi a una realtà quotidiana fatta di restrizioni e misure di sicurezza.

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L’analisi compiuta da Boston Consulting Group inquadra per l’appunto uno scenario globale che da una parte vede nel lavoro da remoto una componente ormai consolidata a livello di organizzazione aziendale e che, dall’altra, non ha registrato il venir meno della produttività. Nello studio “What 12.000 Employees Have To Say About the Future of Remote Work” (condotto su 12mila dipendenti negli Stati Uniti, Germania e India prima e dopo lo scoppio della pandemia), infatti, una cospicua maggioranza ha dichiarato di avere mantenuto, se non accresciuto, i propri livelli di produttività. Il 75% lo ha riscontrato soprattutto nelle attività gestite a carattere individuale, mentre per quelle di natura collaborativa la percentuale scende al 51%. E proprio il tema della produttività in ambito collaborativo è considerato il punto più delicato della questione, oltre che una nuova sfida per i manager.

Quattro, secondo gli esperti di Bcg, sono i fattori cruciali da tenere sotto stretta osservazione: la connettività sociale, la salute mentale e fisica, gli strumenti di lavoro. Il 79% dei lavoratori che hanno espresso soddisfazione rispetto a questi elementi ha riscontrato ottimi risultati mentre solo il 16% di chi ha avuto problemi per due o tre dei fattori in elenco ha mantenuto o accresciuto la produttività. Da questi presupposti nasce di conseguenza la necessità di ripensare lo spazio dove si lavora e di costruire, soprattutto, un nuovo modello di ambiente lavorativo, il modello ibrido per l'appunto.

Le sue peculiarità? Maggiore flessibilità in termini di tempi e luoghi (requisito accolto in modo favorevole dal 60% dei lavoratori) e la possibilità, per i dipendenti, di passare dalla modalità in presenza a quella da remoto senza intaccare le proprie performance. Il ruolo del management, nella transizione verso questo nuovo paradigma, risulterà quantomai essenziale per quanto riguarda le dinamiche legate alla socialità, aspetto per il quale i lavoratori da remoto sentono più nostalgia. Serve quindi immaginare modelli che riproducano tali dinamiche e serve definire, nel contempo, nuove policy condivise per l'organizzazione del lavoro.

Lo spaccato italiano riflette sostanzialmente la situazione descritta dallo studio di cui sopra, con qualche peculiarità propria del tessuto aziendale nazionale. Sul fronte degli strumenti per il lavoro non in presenza, le imprese della Penisola avevano in tal senso già cominciato ad investire in modo strutturato, puntando per esempio su piattaforme per le videochiamate di buona qualità. Ma si tratta solo di un primo passo.

Mettendo sotto la lente di osservazione il settore bancario italiano durante la pandemia, gli esperti di Bcg hanno rilevato in effetti come proprio sul fronte della tecnologia si concentrino le preoccupazioni dei lavoratori. Pur non mancando, in linea generale, la percezione della fiducia dei manager o la capacità di fare ricorso a soft skill che compensino la mancanza di interazioni fisiche informali, ciò che spesso viene a mancare è soprattutto il software. Intervenire sulla digitalizzazione dei processi e sull’accessibilità da remoto di alcune applicazioni è non a caso il doppio requisito che tre addetti del settore bancario su quattro segnalano come indispensabile per considerare funzionante in maniera smart il lavoro da remoto.

La quasi totalità dei lavoratori del banking afferma comunque di voler continuare con questa modalità almeno un giorno a settimana, mentre il 77% lo preferirebbe per due giorni e più (mentre nella situazione pre-Covid il 25% degli addetti non aveva neppure un giorno “smart” al mese). Il corretto bilanciamento tra l’attività svolta da casa e quella d’ufficio, insomma, sembra avviato a una dimensione di “nuovo standard” del lavoro, fermo restando che la transizione non potrà essere automatica

Occorre infatti fare attenzione, come sottolinea Giulia Airaghi, Project Leader di Bcg, “alla spaccatura tra mondo remoto e ufficio, perchè esistono diversi modelli di lavoro ibrido che devono essere disegnati in base alle attività specifiche di ciascun profilo”. Per ogni funzione aziendale, in altre parole, si dovrà pensare a uno specifico modello in base alla natura delle mansioni ricoperte da ogni figura aziendale.

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