di Marco Valsania
Afp
3' di lettura
La Corte Suprema degli Stati Uniti ha bocciato seccamente l'ultimo, grande ricorso legale presentato a nome di Donald Trump dai suoi alleati per ribaltare il risultato elettorale in quattro stati decisivi. In un verdetto di poche parole, giunto nella tarda serata di venerdì, gli alti magistrati hanno respinto come priva di alcun fondamento giuridico la denuncia presentata dal Texas, o meglio dal suo procuratore generale Ken Paxton, e sostenuta dalla campagna di Trump, da 17 stati governati da repubblicani e da una maggioranza di deputati del partito, saliti fino a 126.
Oggetto del contendere: le modalità con le quali quattro stati essenziali per l'esito delle urne avevano condotto il voto di novembre, Pennsylvania, Michigan, Wisconsin e Georgia. Il Texas aveva sostenuto di fatto che gli stati avevano rafforzato illecitamente il voto postale e anticipato, esponendo le urne a brogli e viziando il risultato nazionale complessivo. E aveva chiesto alla Corte Suprema di intervenire drasticamente e d'urgenza per invalidare il voto popolare negli stati menzionati - vale a dire venti milioni di schede che hanno assicurato il successo al candidato democratico Joe Biden. Una simile decisione avrebbe nei fatti consegnato una rielezione a Trump.
La Corte, con una semplice frase, ha concluso che il Texas non ha “standing” per presentare un simile caso e chiedere simili rimedi. “Non ha dimostrato un interesse riconoscibile sotto il profilo giudiziario nel modo in cui un altro stato conduce le elezioni”, ha affermato la presa di posizione dei magistrati. Il verdetto è stato senza firma di alcun giudice particolare. La Corte aveva condotto una abituale riunione virtuale nella mattinata di venerdì ed entro metà giornata erano arrivate anche tutte le decine di documenti di supporto presentati dalle parti - risposte, contro-risposte e dichiarazioni di sostegno.
Gran parte degli esperti legali e costituzionali statunitensi, anche conservatori, aveva indicato che il ricorso e le documentazioni a suo supporto apparivano prive di merito e estremamente fragili. La Costituzione, infatti, affida ai singoli stati l'organizzazione del processo elettorale. Gli atti d’accusa contenevano anche numerosi errori fattuali e affermazioni arbitrarie sulle presunte scarse chance di vittoria di Biden che lo screditavano agli occhi di molti.
Nel mirino è anche la credibilità del principale autore del ricorso: Paxton è da tempo indagato per molteplici reati, corruzione, abuso di potere e truffa finanziaria. L’Fbi ha chiesto nelle ultime ore formalmente la consegna di informazioni da parte del suo ufficio, la Procura generale del Texas. Secondo alcuni osservatori, in cambio della sua dedizione alla causa del Presidente uscente, potrebbe sperare anzitutto in una grazia da parte di Trump anche se il caso è naufragato. Già in precedenza si era distinto per il sostegno alla cause più amate da Trump, dagli sforzi per smantellare la riforma sanitaria Obamacare ai pesanti giri di vite sull’immigrazione.
La Corte Suprema, nonostante una maggioranza conservatrice sicura dopo le nomine di tre giudici da parte dello stesso Trump, non ha comunque raccolto nè gli appelli di Paxton né quelli del Presidente, che ancora nella giornata di ieri aveva chiesto ai giudici di “salvare gli USA” e aveva definito il caso come il “Big One”. Decidendo su un simile ricorso limitato alla Pennsylvania a inizio settimana, la Corte aveva oltretutto già mostrato la propria reticenza a dare ragione a Trump respingendo richieste di sovvertire il voto popolare dello stato, sempre offrendo un giudizio secco e senza dissensi.Ulteriori azioni legali nel Paese sono possibili da parte della campagna di Trump, che sull'onda della sua resistenza sta anche raccogliendo ingenti somme dai sostenitori che potrà utilizzare per future iniziative. Ma la nuova, rapida e netta presa di posizione della Corte Suprema, che non ha avuto bisogno di convocare udienze, chiude in verità il capitolo delle battaglie legali significative.
Tutte le proteste repubblicane sono state incentrate su teorie cospirative senza prove, e più volte respinte da tribunali di vario grado, che hanno sollevato lo spettro di falsificazioni di massa dei voti, soprattutto quelli postali aumentati enormemente in risposta alla pandemia. Lo stesso Segretario alla Giustizia di Trump, Bill Barr, ha concluso di recente che le sue indagini non hanno riscontrato brogli o irregolarità che possano aver avuto impatto sul risultato.
Il prossimo passo spetta ora ai Grandi Elettori. Questi, in rappresentanza dal voto popolare si esprimeranno lunedì, inviando formalmente il loro responso al Congresso. Il 6 gennaio le Camere riunite esamineranno e conteranno quei grandi elettori, con Biden che ne ha conquistati 306 contro i 270 minimi per vincere la Casa Bianca. Sono ancora teoricamente possibili in quell'occasione di inizio gennaio obiezioni mosse da deputati e senatori, ma senza appigli legali appare quantomai improbabile che i repubblicani cerchino o riescano a bloccare l'esito e una inaugurazione di Biden e della sua vice Kamala Harris il 20 gennaio.
Marco Valsania
Giornalista
P.I. 00777910159 Dati societari
© Copyright Il Sole 24 Ore Tutti i diritti riservati
Per la tua pubblicità sul sito: 24 Ore System
Informativa sui cookie Privacy policy