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Dai Covid hotel alle cure in casa, il piano per ridurre la pressione negli ospedali

di Andrea Carli

Coronavirus: bollettino del 12 novembre - I dati di oggi

Di fronte al raggiungimento di soglie critiche di occupazione degli ospedali in tutte le regioni, la strategia diventa quella di curare i pazienti senza sintomi gravi a domicilio

13 novembre 2020
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5' di lettura

«Raggiungimento attuale o imminente delle soglie critiche di occupazione dei servizi ospedalieri in tutte le Regioni». A mettere in evidenza che gli ospedali sono sotto pressione, anche in questa fase due di gestione dell’emergenza sanitaria Coronavirus, è stato l’ultimo monitoraggio settimanale della Cabina di regia (il prossimo è atteso oggi, 13 novembre). Nelle ultime 24 ore i ricoverati con sintomi in reparti ordinari per Covid sono aumentati di 429 unità e sono ora 29.873. Tanti, troppi. Di qui la necessità di mettere in campo soluzioni che consentano di allentare la morsa sul sistema. E di intervenire quanto prima.

Corsa per aprire Covid Hotel

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La strategia dell’esecutivo contempla un doppio approccio. Da una parte la messa a disposizione di Covid hotel dove ospitare le persone senza sintomi gravi, che hanno difficoltà a restare in quarantena. Il governo da dato incarico al commissario straordinario Domenico Arcuri di predisporre un Covid hotel in ogni provincia del territorio nazionale, pari a 110 strutture dove fare confluire i contagiati con sintomi non gravi. Entro martedì 17 novembre tutte le Regioni dovranno trasmettere ad Arcuri i dati delle esigenze specifiche per ogni territorio in modo da poter attivare in pochi giorni i Covid hotel. Per ospitare pazienti positivi con quadro clinico stabile o asintomatici che devono restare in isolamento domiciliare.

Pazienti 20-80 anni

Le Regioni intanto si sono già date da fare sia nei mesi scorsi che nelle ultime ore. Alcune ne hanno aperti in diverse province o nelle aree metropolitane - come il Lazio per esempio che ne ha sei - altre - come Liguria, Marche e Veneto - stanno accogliendo i primi pazienti. E stando proprio ai dati raccolti dalle asl regionali emergono i particolari sulla platea di questi 'ospiti speciali'. Si tratta di pazienti dimessi precocemente dagli ospedali, ma con quadro clinico stabile e non gravi, che devono essere monitorati e continuare le terapie. In queste strutture vengono anche ospitate persone in isolamento che non possono trascorrere la quarantena nel loro domicilio per problemi logistici. L'età va dai 20 agli 80 anni, gli anziani non autosufficienti vengono indirizzati nelle Rsa Covid.

Accelerazione sulle cure domiciliari

Il secondo approccio del governo consiste nell’accelerare sulle cure domiciliari, così da alleggerire i pronto soccorso degli ospedali. Le due soluzioni non costituiscono una novità: già nella prima fase di gestione dell’emergenza sanitaria si era scelto di andare in questa direzione, ma entrambi gli approcci non sono stati sviluppati come avrebbero dovuto. Ora ci si torna a muovere su quei due binari.

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Posti letto sottratti ai reparti dedicati agli altri pazienti

Il numero dei pazienti meno gravi cresce. Una tendenza che mette in grande difficoltà gli ospedali che ogni giorno sottraggono i posti letto ai reparti dedicati agli altri pazienti, quelli non Coronavirus, che rischiano così di dover rinunciare alle cure come è accaduto a marzo, quando il ministero della Salute ha deciso lo stop a tutte le prestazioni non urgenti e ai ricoveri programmati. Le Regioni stanno di nuovo attrezzando caserme e Covid hotel, anche qui come hanno fatto durante la prima ondata quando si è giunti ad avere 18mila letti in più (poi poco utilizzati anche perché scelti da pochi malati). Come già nella prima fase, anche in occasione di questa seconda ondata le regioni si sono mosse in ritardo.

I medici di medicina generale: Covid hotel non è ospedale, solo pazienti stabili

La proposta ha destato alcune perplessità tra i medici. Il vice segretario nazionale della Federazione dei medici di Medicina Generale (Fimmg) Pier Luigi Bartoletti ha sottolineato che «il Covid hotel è un domicilio, non un ospedale. Una struttura protetta rispetto a casa per quei pazienti che non hanno supporto sociale o familiare. Ma le regole d'ingaggio - ha continuato - devono essere chiare: ci possono entrare solo persone con un quadro clinico stabilizzato e che non necessitano di reparti di degenza anche se a bassa intensità». Secondo Bartoletti ai Covid hotel devono avere accesso solo assistiti già dimessi, anche se ancora con polmonite o positivi al virus, oppure persone che non hanno un quadro clinico grave. «L'organizzazione di queste strutture deve prevedere turni di controllo con medico, infermiere e assistente socio-sanitario», ha aggiunto Bartoletti.

Cure a casa mai decollate

Quanto invece al secondo approccio, la situazione degli ospedali è al limite, anche perchè le cure a casa dei pazienti Covid non gravi non sono mai davvero “decollate” e le Unità di continuità assistenziale (Usca), pilastro dell’assistenza domiciliare previste dal decreto Cura Italia, sono in realtà ancora presenti a macchia di leopardo sul territorio. Insomma, le difficoltà non mancano e i pazienti a domicilio si trovano ora a dover fare i conti anche con un'altra emergenza: dal territorio sono state segnalate carenze nella disponibilità di bombole di ossigeno nelle farmacie per le cure domiciliari di pazienti Covid.

In arrivo protocollo ma perplessità dei medici

Sarebbe in dirittura d'arrivo il protocollo per le cure a casa dei pazienti Covid, annunciato dal presidente del Consiglio superiore di sanità Franco Locatelli. La bozza del documento, stando a quanto si è appreso, sarebbe già pronta. Vi sarebbero però delle perplessità da parte dei medici di famiglia, sulla base delle indiscrezioni circolate, in relazione al tema della sicurezza degli operatori sanitari che prendono in carico gli assistiti contagiati.

Sulle cure domiciliari regioni in ordine sparso

Intanto in attesa che il documento definitivo sia pronto, le Regioni si stanno muovendo autonomamente con loro linee di indirizzo e ordinanze. È atteso a breve il documento del Piemonte, mentre negli ultimi giorni è arrivato sulla scrivania dei medici di famiglia del Lazio l'ordinanza firmata dal presidente Nicola Zingaretti. In Campania le direttive sono state fornite dalle singole Asl, mentre l'Emilia Romagna ha da tempo prodotto indicazioni precise. Ora si attende un protocollo applicabile in tutte le regioni, che fornisca delle indicazioni precise sul tema dell’organizzazione delle cure domiciliari. Evitando così che le singole amministrazioni procedano in ordine sparso. Uno scenario, quest’ultimo, poco funzionale se l’obiettivo è vincere la partita per il contenimento dei contagi da Coronavirus.

Ipotesi ospedali da campo in Puglia se crisi aumenta

Un’altra soluzione è quella che si delinea per la Puglia. Il dipartimento Salute della regione sta infatti approntando la seconda fase del potenziamento della rete ospedaliera per fronteggiare l'emergenza coronavirus. Il primo step prevede la progressiva attivazione di circa 3mila posti letto Covid entro il 30 novembre, a seconda delle necessità e del numero di pazienti. Per alleggerire la pressione sulle strutture sanitarie, si sta studiando l'ipotesi, in caso di necessità, di creare ospedali da campo all'interno dei quali dare vita anche a reparti di sub-intensiva o di intensiva. La Fiera del Levante di Bari, come annunciato dal sindaco Antonio Decaro, è una delle aree candidate ad ospitare un ospedale da campo, sulla falsa riga di quanto avviene a Milano, ma non sarà l'unica: attraverso l'impiego di moduli mobili, l'idea è quella di dare vita ad altri reparti vicino alle attuali strutture Covid. Nel peggiore degli scenari, cioè quello che prevede un aumento esponenziale dei contagi, potrebbe essere creato un ospedale da campo in ogni provincia.

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