di Sissi Bellomo
(REUTERS)
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La Russia è a un passo dall’imporre limiti all’esportazione di cereali: una mossa che suscita inquietudine sul mercato e che ha spinto le quotazioni del grano ai massimi da due mesi, con un picco di 5,87 dollar per bushel a Chicago.
A Parigi il grano da macina ha raggiunto 197,50 euro per tonnellata, salvo limare i rialzi quando è emerso che – almeno per ora – Mosca non è orientata a prendere provvedimenti drastici.
Il ministero dell’Agricoltura, per evitare carenze in tempi di coronavirus, ha proposto un tetto di 7 milioni di tonnellate per l’export di cereali tra aprile e giugno, volumi simili a quelli che comunque ci si aspettava che fossero venduti all’estero.
Molti operatori temono però che questo sia solo il primo passo e che si possa arrivare a una replica del 2010. All’epoca la Russia vietò del tutto l’export di grano, in un periodo in cui la siccità aveva compromesso i raccolti e in cui il rublo debole (come oggi) faceva preferire le vendite all’estero.
La decisione innescò un rally che spinse il prezzo del grano al record storico. I rincari del pane scatenarono rivolte in molti Paesi del mondo, comprese quelle della Primavera araba.
Con il diffondersi della pandemia da coronavirus, il protezionismo sta cominciando a prendere piede: un fenomeno su cui anche la Fao ha lanciato un allarme, perché potrebbe portare a una vera e propria crisi alimentare, con gravi conseguenze per le regioni più povere del mondo.
Nei giorni scorsi il Vietnam ha sospeso le esportazioni di riso, di cui è il terzo fornitore al mondo dopo India e Thailandia.
Nel Vecchio continente anche l’Ucraina sta valutando se limitare l’export di grano, mentre il Kazakhstan ha già smesso di esportare farina, zucchero e patate.
Sissi Bellomo
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