di Manuela Perrone
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Sono passati otto giorni da quando il premier Giuseppe Conte ha promesso di chiamare Vittorio Colao e Angelo Borrelli per rimpolpare la presenza femminile nelle due principali task force che affiancano il Governo. Otto giorni in cui la Fase 2 è decollata, con il ritorno al lavoro di 4,4 milioni di persone, il 77% dei quali uomini. Otto giorni in cui l’Italia è diventata un “caso” internazionale: la mobilitazione lanciata dal movimento #datecivoce è approdata sulla Bbc e da lì all’attenzione di Un Women, l’agenzia delle Nazioni Unite dedicata all’uguaglianza di genere, che in un tweet ha sintetizzato: «Le donne italiane chiedono un ruolo più forte nella risposta del Paese all’epidemia di coronavirus e invocano inclusione».
Dei decreti nessuna traccia
Ma neanche questo è servito a scuotere l’Esecutivo. «Per integrare le due task force servono un Dpcm e un decreto del capo della Protezione civile, gli stessi provvedimenti con cui sono state istituite», ricorda Monica Lucarelli, Ceo di Passoni Titanio e tra le prime firmatarie di #Datecivoce. «Dal presidente Conte, a cui avevamo inviato una lettera per chiedere con fermezza che venisse rispettato il diritto costituzionale della parità di genere modificando immediatamente la composizione delle task force e dei comitati, nessuna risposta. Soltanto la dichiarazione del 4 maggio, che abbiamo accolto con piacere, consapevoli però che una telefonata non avrebbe cambiato nulla. Il Dpcm non è mai arrivato e mai arriverà, molto probabilmente».
Migliaia di adesioni all’appello
Lucarelli è una delle 8mila persone singole che hanno aderito all’appello, cui si sono unite circa 160 associazioni. «Tutto è nato da una chat su whatsapp, “Empowerment donne”», racconta. «Siamo professioniste, manager, dirigenti pubbliche, insegnanti, esperte di economia e comunicazione, artiste, presidenti di associazioni e fondazioni, dottoresse, infermiere, madri, nonne e molto di più. Il giorno di Pasqua ci siamo ritrovare a commentare le nomine che il Governo aveva fatto nelle varie task force e comitati per la gestione dell’emergenza e del post emergenza. Oltre 1.400 persone, quasi tutti uomini. Con due eccezioni a quel quasi: il Comitato tecnico-scientifico e le Donne per un nuovo Rinascimento, entrambi monogenere. Il primo composto di soli uomini, il secondo di sole donne e istituito, neanche a dirlo, dalla ministra delle Pari opportunità».
Quei numeri che non tornano
La sottorappresentazione delle donne nei gruppi che hanno coadiuvato il Governo nella gestione della fase critica e che adesso disegnano gli scenari per il futuro del Paese stride con la realtà della pandemia. Lucarelli si infervora e snocciola le cifre: «Il 56% dei medici iscritti all’albo è donna, come il 77% degli infermieri. Il 72,4% di chi opera nei settori dell’istruzione e della sanità è donna. Il 69,1% di chi opera nell’ambito dei servizi alla persona è donna. Molto dell’emergenza sanitaria passa dalle mani delle donne. E anche l’altra faccia dell’emergenza, la tanto discussa didattica a distanza, è ancora una volta gestita, lato scuola e lato famiglia, dalle donne. Ma chi decide sono sempre e soltanto gli uomini: uomini i capi dipartimento della Protezione civile, i ministri maggiormente interessati, i capi di comitati e task force, i loro componenti, i primari, gli scienziati intervistati, con qualche rara eccezione».
Lo spettro di una crisi peggiore del 2008
Il vaso è colmo. Anche perché le donne italiane, che hanno già pagato lo scotto altissimo della crisi del 2008 e che restano inchiodate a un tasso di occupazione del 50% contro una media Ue del 67,3%, stanno già scontando quella attuale. Costrette a restare a casa non più dal lockdown, ma dalla necessità di curare i familiari anziani e di gestire la didattica a distanza dei figli. «Tutto, se va bene - commenta Lucarelli - con uno smart working che ha molto poco di “smart”. Oppure con l’angoscia di non ritrovare più alcun lavoro, se sono occupate nel turismo, nel commercio e nella ristorazione».
Più lavoratrici fanno bene al Pil
Eppure sono ormai noti i benefici, in termini di Pil, di una maggiore presenza femminile sul mercato del lavoro. Così come sono noti i vantaggi, in termini di massimizzazione dell’innovazione, di una leadership diversificata e di una forza lavoro equilibrata dal punto di vista dei generi in tutte le organizzazioni, pubbliche e private. Come ignorarlo se c’è un Paese da ricostruire? «Non possiamo più accettare di essere considerate come una variazione rispetto allo standard, cioè all’uomo», conclude Lucarelli. «Non è più il tempo e non c’è più alcuna possibile convenienza».
«50/50 ovunque, e alternanza ai vertici delle istituzioni»
Per #Datecivoce bisogna agire immediatamente estendendo la quota del genere sottorappresentato fissata dalla legge Golfo-Mosca dal 30 al 50% e introducendola ben oltre i Cda delle aziende quotate e delle società pubbliche: in tutti i comitati, in tutte le task force e nelle nomine dei Consigli dei ministri. Con una richiesta aggiuntiva, non meno tranchant: l’alternanza uomo-donna alla presidenza della Repubblica, alla presidenza del Consiglio e in tutti i luoghi di nomina istituzionale e pubblica. «Siamo rimasti tra i pochi Paesi al mondo - osserva Lucarelli - a non aver mai avuto una donna premier o capo dello Stato. Basta evocare il merito: abbiamo già dimostrato che valiamo. E basta parole, è ora di passare ai fatti. Stavolta non ci fermiamo».
Per approdondire:
Manuela Perrone
inviata parlamentare
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